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La Finanziaria 2010 dell’Emilia Romagna è legge. La Regione guidata da Vasco Errani ha messo in campo gli strumenti per continuare a contrastare la crisi economica.
Ma l’attenzione dei media è stata catalizzata soprattutto da due articoli del corposo testo di legge nei quali la Regione delinea la sua politica per le famiglie: intervenire in modo forte sui nuclei familiari e sulle persone senza discriminare in base all’orientamento sessuale né allo status giuridico delle coppie, ma articolando gli interventi sulla base dei bisogni.

“Niente è più ingiusto che far le parti uguali fra disuguali”, ammoniva don Lorenzo Milani, facendo riferimento ad un principio di uguaglianza (e disuguaglianza) sostanziale, di condizioni sociali. Quel principio è stato ripreso dall’arcivescovo di Bologna che ne ha ribaltato il senso. “È ingiusto trattare in modo uguale i diversi” ha ammonito. Dove i diversi non sono più, come in don Milani, i più bisognosi, ma chi va discriminato per le sue condizioni personali (come le coppie omosessuali) o si trova in un diverso status giuridico (come le coppie non sposate).

L’Emilia Romagna si è incamminata lungo la strada tracciata da don Milani, affiancando ai principi non discriminatori rivisti dal Trattato di Lisbona proprio quel principio di “disuguaglianza” degli interventi contenuta nell’art.53 della Costituzione italiana: “il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Vengono previste così quelle differenze tariffarie che la Regione si accinge ad applicare, in omaggio all’art.31 della Carta, alle famiglie numerose.

C’è poi un aspetto, nella legge regionale appena varata, finora rimasto sotto silenzio: l’estensione del principio di non discriminazione nell’accesso ai servizi, alle persone transessuali e transgender. È quanto discende dal riferimento alla Direttiva del Consiglio dell’Unione Europea n. 54 del 2006. In quel testo, ancora in attesa di recepimento da parte del Parlamento italiano, si fa riferimento alla sentenza con cui la Corte di Giustizia Europea ha sancito che “il principio della parità di trattamento tra uomini e donne non possa essere limitato al divieto delle discriminazioni basate sul fatto che una persona appartenga all’uno o all’altro sesso. Tale principio, considerato il suo scopo e data la natura dei diritti che è inteso a salvaguardare, si applica anche alle discriminazioni derivanti da un cambiamento di sesso”. In un momento in cui le persone trans sono trattate dai media come cortigiane da basso impero e non come portatrici di diritti troppo spesso negati, questa è forse la migliore notizia.

Sergio Lo Giudice

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