Roma, 24 nov. (Adnkronos) – Sarà più facile cambiare sesso, o semplicemente il nome di genere. E si farà per via amministrativa, con un’autorizzazione del prefetto, anzichè del giudice, come previsto dalle norme oggi in vigore. A trent’anni dall’approvazione della legge 164 che disciplina la modifica dell’attribuzione di sesso, per transessuali e transgender si annuncia una vera e propria rivoluzione.

A fissarne i principi è il ddl del senatore Pd Sergio Lo Giudice, che introduce rilevanti novità nell’ordinamento, a cominciare dal superamento della doppia procedura giudiziale per il trattamento medico-chirurgico e le indispensabili modifiche anagrafiche. La legge del 1982, spiega Lo Giudice, ha rappresentato “un esempio importante di civiltà giuridica e rispetto dei diritti fondamentali della persona”, ma i cambiamenti sociali e l’evoluzione giuridica “fanno ritenere il contenuto della legge problematico in alcuni suoi aspetti e superato in altri”.

Per questo, sottolinea l’ex presidente di Arcigay, il legislatore è chiamato ad intervenire sulle norme che regolano il cambio di genere, anche a fronte del costante aumento (+25 per cento dal 2008 ad oggi) delle richieste ai centri specializzati operanti in Italia. Negli ultimi 20 anni, gli interventi per cambiare sesso sono stati oltre 2mila.
L’esperienza di vita di transessuali e transgender, così come la ricerca scientifica, “hanno ampiamente dimostrato – afferma Lo Giudice – come l’equilibrio psico-fisico della persona transessuale non comporti necessariamente l’adeguamento chirurgico dei genitali, che al contrario spesso viene forzato dalla necessità di ‘regolarizzare’ una situazione intermedia nella quale la persona transessuale è soggetta a stigmatizzazione sociale, discriminazione, privazione dei diritti fondamentali, tra cui il diritto alla riservatezza dei dati personali sensibili, quali quelli relativi alla salute e alla vita sessuale”.

L’intervento chirurgico, in sostanza, costituisce, per alcune persone, un “atto forzato senza il quale la persona è privata della dignità e dei diritti di cittadinanza, costretta ad una ‘esistenza legale’ che non corrisponde all’identità, all’aspetto esteriore e al ruolo sociale. L’intervento chirurgico diventa, in altre parole, un modo per vedere sanzionata dalla legge l’identità stessa della persona”.

Una situazione che “condiziona pesantemente il rispetto dei diritti e dell’identità della persona, del suo benessere psico-fisico e della vita di relazione”. Tanto è vero che, ricorda il senatore Pd, altri paesi europei hanno già modificato il proprio ordinamento in materia. Come la Gran Bretagna, dove con il Gender recognition act, nel 2004, è stato stabilito come la modifica del certificato di nascita e il cambio del nome possano essere effettuati indipendentemente dall’intervento chirurgico. Niente più doppio passaggio in tribunale, dunque: la richiesta andrà presentata al prefetto, accompagnata dalla documentazione sul percorso di transizione o il certificato medico relativo all’intervento chirurgico che, in ogni caso, “non è un requisito necessario”. Una scelta, questa, “affidata all’autodeterminazione” della persona che vuole cambiare sesso, affiancata da un medico specialista che ne valuti la condizione psico-fisica.

Se a richiedere il passaggio di genere è, invece, un minore, sarà ancora il giudice a decidere. La domanda di modifica del nome può essere presentata, sempre al prefetto, anche indipendentemente da quella per il cambio di sesso: “una possibilità aggiuntiva rimessa alla libertà della persona per acquisire serenità ed equilibrio psico-sociale”, sottolinea Lo Giudice. Il passaggio di genere, inoltre, “non determina automaticamente lo scioglimento del matrimonio” e non ne annulla gli effetti civili. Inoltre, nei nuovi atti dello stato civile, sia da parte di soggetti pubblici che privati, non dovrà esservi traccia dell’attribuzione e del nome precedenti. La violazione a tale obbligo sara’ trattata alla stregua di trattamento illecito dei dati personali.

Il “principio fondamentale dell’autodeterminazione”, infine, sottolinea Lo Giudice, deve valere anche per quelle persone che alla nascita hanno caratteri sessuali sia maschili che femminili. Ancora oggi, il neonato che presenti tali caratteristiche viene sottoposto ad un intervento chirurgico per l’attribuzione di uno dei due sessi. Con le nuove norme, sarà la persona stessa, in eta’ adulta, a decidere, a meno che al momento della nascita l’intervento non sia indispensabile per esigenze di salute.

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