Il 3 ottobre scorso il presidente della Serbia, il nazionalista Tomislav Nikolic è intervenuto all’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa. L’intervento era atteso anche in vista di un’ammissione della Serbia nell’Unione Europea. Alla fine del suo intervento, in cui aveva sottolineato come il nuovo codice penale serbo fosse stato “emendato da ogni forma di discriminazione”, gli è stata posta la domanda sull’ennesimo divieto allo svolgimento di un Gay Pride posto per il terzo anno di fila dal premier Ivica Dacic, socialista, ex portavoce di Milosevic. Il rifiuto era stato motivato dal ricordo delle violenze di piazza della destra nazionalista in occasione dell’ultimo Pride di Belgrado nel 2010 ma era anche stato chiesto dalla Chiesa ortodossa serba.

Questa la risposta di Nikolic, come da verbale dell’APCE: “Purtroppo non é stato possibile organizzare la sfilata del gay pride per motivi di sicurezza, non perché abbiamo dei particolari pregiudizi nei confronti di queste persone. Contiamo in futuro di poter organizzare anche questo tipo di manifestazioni”.

Bene. Contiamo anche noi di avere la Serbia nell’Unione europea. Ma, ci aspettiamo, non prima che siano garantiti i diritti fondamentali dei cittadini, oggi lasciati da un governo connivente in balìa dello squadrismo neofascista e del fondamentalismo religioso.

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