Sull’Unità di oggi la responsabile nazionale scuola del PD, Francesca Puglisi, interviene sul tema dei 400 bambini (cifra destinata ad abbassarsi ma non abbastanza) rimasti fuori dalla scuola d’infanzia (leggi l’articolo: Francesca Puglisi su scuole d’infanzia ).
Francesca dice tre cose che condivido, la vera chiave della questione:
1. la scuola d’infanzia è un diritto di ogni bambino e lasciarne fuori è un delitto;
2. nessuna famiglia deve essere costretta a mandare i propri figli ad una scuola confessionale perchè questa è l’unica opzione in campo;
3. esiste un obbligo disatteso dello Stato centrale a garantire la copertura totale.
Oggi il Comune di Bologna gestisce il 60% delle scuole d’infanzia del territorio. Una percentuale (quella nazionale è del 9%, in Emilia Romagna sale al 20%) che fino a qualche decennio fa rappresentava un fiore all’occhiello, la realizzazione di quell’impegno che, da Adriana Lodi in poi, aveva fatto di Bologna un avamposto nell’offerta di un servizio prima quasi inesistente. Da diversi anni, fra nuove norme sull’assunzione del personale e tagli delle risorse ai Comuni, quella percentuale non è più gestibile ed è impensabile che possa crescere.
Il Comune non può più, di fatto, assumere personale a tempo determinato nè a tempo indeterminato, schiacciato fra le leggi che fissano al 50% la percentuale di spesa per il personale sul bilancio totale e le forti limitazioni al turn over dei dipendenti.
Gli altri Comuni della regione, dalla mitica Reggio Emilia in giù, hanno ceduto nel tempo quote di scuole allo Stato, il cui impegno è andato via via crescendo. A Bologna questo non è accaduto: lo Stato si ferma ad un misero 17% della percentuale complessiva (a fronte del 61% di scuole d’infanzia statali sul territorio nazionale).
In queste condizioni, pensare che la questione si possa risolvere con il milione di euro che il Comune versa alle scuole paritarie convenzionate ( per un servizio offerto a 1700 bambini, a fronte dei 150 posti – edifici esclusi – che il Comune potrebbe coprire con la stessa cifra) significa sbagliare l’obiettivo, se l’obiettivo è abolire o almeno ridurre le liste d’attesa nella scuola pubblica.
Occorre richiamare con forza lo Stato ai suoi doveri e, intanto, pensare ad una collaborazione delle istituzioni pubbliche con il privato sociale per estendere l’offerta del servizio sul territorio. Così si potrà aumentare l’offerta complessiva e , insieme , garantire che l’opzione confessionale sia davvero il frutto di una libera scelta.
Sergio Lo Giudice
Carissimo Sergio,
come tu sai benissimo la storiella dei 1700 bambini che non avrebbero più la scuola è una vera bugia, perchè molti genitori (quanti a proposito? E’ lecito saperlo?) iscriverebbero lo stesso i figli alla scuola confessionale per svariato motivi che tu, da insegnante della scuola pubblica, conosci benissimo.
Ad esempio perchè non condividono il progetto educativo della scuola laica, perchè nella scuola pubblica “insegnano cattivi docenti”, perchè ci sono troppi DSA o portatori di Handicap gravi o extracomunitari, e via dicendo.
No, caro Sergio, l’obiettivo non è assolutamente sbagliato, ciò che non funziona è la volontà di chi governa di programmare e progettare il futuro dei più piccoli, di quelli nati oggi a Bologna e di cui si conosce con certezza che tra tre anni avranno il diritto-dovere a frequentare la scuola pubblica, laica, Statale o Comunale che sia.
Orazio
Caro Orazio,
nessuna bugia. Io non ho mai detto che 1700 bambini rimarrebbero senza scuola. Le scuole confessionali c’erano prima dei contributi pubblici e ci sarebbero dopo. Penso però che senza quel contributo, che indubbiamente sostiene quel livello di offerta, un po’ per le difficoltà delle scuole più fragili e soprattutto per l’inevitabile aumento delle rette si determinerebbe un aumento di richieste alla scuola comunale che oggi il Comune non è in nessun modo in grado di assolvere. Certo, molti genitori iscriverebbero lo stesso , anche con rette più alte, i loro figli alla scuola confessionale ma basterebbe che appena il 10% decidesse di non farlo perché le liste d’attesa si allunghino ancora di più, lasciando a casa un numero maggiore di bambini.