“Il giudizio degli italiani sul referendum è stato chiaro e netto. Il Paese avrebbe avuto bisogno di una riforma della Costituzione che rendesse più adeguate le istituzioni e noi, Partito democratico, comunque la pensiamo, non siamo esenti dalla responsabilità di avere sprecato questa occasione. Un percorso non abbastanza condiviso e una campagna sopra le righe non hanno aiutato gli italiani a discutere nel merito della riforma. Siamo stati percepiti dalla maggioranza dagli italiani, soprattutto i più giovani, soprattutto i meno garantiti, come una forza politica distante dai loro bisogni, su cui riversare un disagio che non abbiamo saputo affrontare nel modo giusto. Adesso però voltiamo pagina: la direzione di domani sia un momento di riflessione e non l’ennesimo esercizio muscolare”.
Lo scrivono sul sito di ReteDem i componenti della direzione PD che si riconoscono nell’area di minoranza del partito: Sergio Lo Giudice, Paolo Acunzo, Samuele Agostini, Maria Carla Rocca, Anna Paola Cova, Irene Deval, Fabio Malagnino, Enzo Martines, Paolo Gandolfi, Maria Chiara Prodi, Veronica Tentori, Daniele Viotti.
“E’ andata così. La Costituzione rimarrà immutata e il mondo andrà avanti lo stesso. Adesso il paese non può attendere, va ritrovata subito una nuova rotta. Matteo Renzi ha deciso di dimettersi dalla presidenza del consiglio: non era una scelta obbligata e la nettezza della sua risposta al voto di domenica é apprezzabile.
Adesso si proceda con la stessa chiarezza nell’interesse dei cittadini.
Riteniamo che il segretario abbia tutta la legittimità e debba esercitare la responsabilità di rimanere alla guida del partito per affrontare la fase complicata che ci aspetta e per costruire un congresso del partito che si svolga in modo ordinato e partecipato.
La legislatura volge al termine e il voto referendario accelera i tempi della politica. Fra i compiti di questo Parlamento c’è quello di consegnare al paese delle leggi elettorali chiare, rispettose delle prossime indicazioni della Corte costituzionale e capaci di consegnarci un quadro politico governabile: su questo serve chiarezza prima del voto.
Ritroviamo la strada di una ricomposizione con i nostri mondi sociali e culturali. C’è un’Italia che non crede agli imbonimenti di Grillo o di Salvini e che siamo riusciti a convincere solo in parte sul merito del referendum, ma che si aspetta ancora da noi un disegno per il futuro. Quello è il nostro popolo e da lì dobbiamo ripartire, sapendo che non coincide con quel 40% che ha detto sì a un referendum anche senza riconoscersi tutto nella nostra parte politica.
Abbiamo di fronte una società divisa che non trova nel PD un vettore di coesione, ma che allo stesso tempo di questo partito non può fare a meno.
Non è con l’uomo solo al comando, né con la sovrapposizione tra partito e governo, e tra governo e parlamento, che otterremo un consenso durevole. Ma è rimettendo in campo una diversa proposta politica e un partito che funzioni, che torni a richiamare persone e idee capaci di alimentare un confronto costruttivo e di rappresentare la diversità di questo paese, che ha in sé le risposte che andiamo cercando”.