Da trent’anni l’Italia attende una legge contro la tortura: da quel 10 dicembre 1984 in cui abbiamo sottoscritto la Convenzione ONU contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti. La Convenzione individua la tortura come “qualsiasi atto con il quale sono inflitti ad una persona dolore o sofferenze acute, fisiche o psichiche, segnatamente al fine di ottenere da questa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che ella o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimidirla od esercitare pressioni su di lei o di intimidire od esercitare pressioni su una terza persona, o per qualunque altro motivo basato su una qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o tali sofferenze siano inflitti da un funzionario pubblico o da qualsiasi altra persona che agisca a titolo ufficiale, o sotto sua istigazione, oppure con il suo consenso espresso o tacito.”

Secondo questa definizione la tortura riguarda in modo specifico il rapporto tra lo Stato e quel cittadino la cui persona viene a trovarsi a disposizione del potere costituito. Una situazione in cui è dovere dello Stato garantire, anche se in presenza di una legittima limitazione della libertà personale, il rispetto dell’integrità psico-fisica e di altri diritti fondamentali.

Il Senato ha finalmente approvato in prima lettura un disegno di legge che introduce per la prima volta nel nostro ordinamento il reato di tortura. Il testo approvato rappresenta una mediazione tra due posizioni diverse: la prima chiedeva il recepimento dell’impostazione indicata dalla Convenzione di New York , che considera che vi sia tortura quando l’autore dell’atto di violenza sia compiuto da un pubblico ufficiale: un reato specifico, che tuteli i cittadini dalla prevaricazione dello Stato. Per l’Italia non si tratta di un’esigenza astratta, ma di dotarsi di uno strumento adeguato di contrasto a fatti che hanno scritto alcune delle pagine più nere della nostra storia recente. Basti ripensare alle brutali violazioni dei diritti umani avvenute a Genova nel 2001 fra Bolzaneto e la Diaz, o ai cittadini finiti nelle mani dello Stato dove hanno trovato la propria morte: Federico Aldrovandi, Giuseppe Uva, Stefano Cucchi, Michele Ferrulli, Riccardo Rasman, per citare i casi più noti.

Una seconda posizione chiedeva di estendere il reato a tutte le situazioni in cui una persona, in stato di privazione della libertà, sia sottoposta ad acute sofferenze senza distinguere se il potere di coercizione venga esercitato in nome dello Stato o, per esempio, da parte di un’organizzazione criminale.

Per evitare l’ennesimo buco nell’acqua ( da molti anni le proposte di legge sul tema vengono discusse, modificate e poi lasciate morire) si è arrivati a una mediazione: la tortura è prevista come reato comune,
che può essere commesso da qualunque persona, ma é prevista una specifica aggravante se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale.

La legge punisce anche l’istigazione a commettere reato di tortura fatta da un pubblico ufficiale verso un altro pubblico ufficiale e prevede che una persona non possa essere estradata verso uno Stato in cui rischi di essere torturato

Adesso la parola passa alla Camera per l’approvazione definitiva della legge.


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Articolo pubblicato sull’Huffington Post

 

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