anatroccolo

La vicenda dell’aggressione ad un ragazzo gay a Bologna si è in parte ridimensionata. Il polso di Romeo, medicato al Pronto soccorso, non era fratturato e i calci degli aggressori, per fortuna, hanno fatto più danni all’auto del ragazzo, che non a lui stesso.

La polizia ha confermato che la molla dell’episodio è stata un litigio fra quattro ragazzi ubriachi e un altro cliente della discoteca. I quattro se la sono presa con Romeo infuriati per non avere trovato l’altra persona, come era già stato raccontato dal ragazzo. La novità è che l’altro – candidato alle ultime elezioni comunali per la Lega nord – aveva apostrofato i quattro , che pretendevano una sigaretta, come “terroni”.

Che questo particolare possa derubricare l’episodio ad un “banale litigio per una sigaretta” è sbagliato. Romeo con quel litigio non c’entrava ed è stato oggetto di una ritorsione violenta, solo perché individuato come conoscente dell’altro. Se è improprio, alla luce di queste novità, parlare di omofobia, rimane che l’aggressione è un esempio di bullismo machista la cui la condanna non dovrebbe venire meno.

L’uso del termine “terroni” è a sua volta da condannare senza mezze misure. Spiace molto sentire che un ragazzo gay, che dovrebbe essere più sensibile al tema delle discriminazioni , utilizzi a sua volta un linguaggio del genere. Chi si occupa di discriminazioni sa come sia complesso il fenomeno delle discriminazioni incrociate che può coinvolgere proprio i gruppi oggetto di stigma sociale (gli assalti ai campi nomadi nel meridione, l’ostilità verso gli omosessuali da parte di alcune comunità di immigrati , l’esclusione di gay e lesbiche disabili dai luoghi di socialità gay spesso non accessibili). Ognuno di noi è portatore di un’identità composita, e la campana delle discriminazioni prima o poi (magari in tarda età) suona per tutti. A questo non si risponde misurando se sia più offensivo dare del busone o del terrone, ma mettendo in campo gli strumenti adatti una efficace azione antidiscriminatoria a tutto campo. Su questo in Italia c’è un colpevole ritardo di cui in tanti portano la responsabilità. Sarebbe l’ora di pensarci sul serio.

Sergio Lo Giudice

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