Nella civilissima Oslo, una bomba sventra il palazzo della VG, a pochi passi dalla Tinghuset dove fra qualche settimana andrò a sposarmi con  Michele. A poche decine di chilometri, 80 ragazzi, giovani  laburisti, vengono massacrati. Tutti pensano subito al terrorismo islamico, ad Al Quaeda , alla jihad. E invece poche ore dopo le autorità norvegesi ti consegnano il ritratto di un ragazzone biondo alto due metri, Anders Behring Breivik, e ti dicono che è un “cristiano fondamentalista”.

Al  netto delle perizie psichiatriche che avranno senz’altro qualcosa da dire, ecco l’ennesima conferma (e a che prezzo) che l’integralismo, il fanatismo, l’intolleranza, non allignano in questa o quella religione, ma sono una metastasi che può svilupparsi dovunque, anche fra quei gruppi norvegesi xenofobi frequentati da Breivik e molto più diffusi in tutta Europa di quanto non fosse immaginabile solo pochi anni fa.

Che dolore e che rabbia per quelle decine di ragazzi e ragazze animati da impegno politico e passione civile che sono diventati agli occhi di questo e forse di tanti Breivik il simbolo di un’Europa aperta e inclusiva, lontana dagli integralismi e impegnata a progettare un modello sociale e civile laico e inclusivo. È anche grazie a loro, ai loro padri e alle loro madri, se  io e Michele potremo sposarci. Questa è l’Europa  migliore, che va difesa da attacchi esterni ma che deve fare i conti anche con qualche sua cattiva radice.

Sergio Lo Giudice

css.php