Accade sempre più spesso, e non è un bel vedere, che il parlamento italiano sia richiamato ai suoi doveri essenziali dalle corti, nazionali ed europee, su temi relativi ai diritti civili.
Pochi giorni fa la Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia per avere negato ad una coppia di genitori di trasmettere il cognome della madre al proprio figlio, dandoci tre mesi di tempo per adeguare la normativa se non vorremo incorrere in sanzioni. In maggio scadranno i termini per dare una risposta alla sentenza con cui la stessa corte ha condannato l’Italia per i trattamenti inumani e degradanti delle nostre carceri.
La legge 40 sulla fecondazione assistita è stata demolita prima dalla Corte costituzionale e poi da Strasburgo perché contraria ai diritti delle persone. La Consulta e la Cassazione hanno richiamato il Parlamento italiano ad assolvere al dovere costituzionale del riconoscimento giuridico delle coppie gay e lesbiche.
È in questo contesto che arriva l’ultima umiliazione per l’Italia. C’é di buono che il sasso nello stagno ha mosso molte acque, mostrando come Il paese ( e forse una volta tanto anche il parlamento) é pronto a interrompere una tradizione tanto millenaria quanto sessista.
Ho presentato, insieme ad altri senatori PD, una proposta di legge che stabilisce che i genitori possano decidere quale dei due cognomi attribuire al figlio, o se trasmetterli entrambi. Una misura molto attesa dalle famiglie italiane, come mostrano le migliaia di firme raccolte in questi giorni dalla campagna “Nel cognome della madre” promossa da Equality Italia. la proposta riprende quella presentata da Laura Garavini alla Camera che aspetta invano da mesi di essere discussa.
Si sanerebbe così l’ultimo residuo sessista sopravvissuto alla riforma del diritto di famiglia che negli anni settanta ha modificato la struttura patriarcale e maschilista della famiglia. Quella riforma aspetta ancora di essere portata a a compimento per aggiornare il codice civile alla realtà effettiva società italiana: abolire la discriminazione che impedisce l’accesso al matrimonio alle coppie dello stesso sesso, eliminare l’inutile tempo d’attesa fra la separazione e il divorzio, rendere possibile la delega della responsabilità genitoriale dovranno essere le altre tappe di questo percorso. Altrimenti ci penserà l’Europa, e non sarà una bella figura.
Articolo pubblicato sull’Huffington Post