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Sono stato eletto capogruppo del Pd nel Consiglio comunale di Bologna. Non è una novità che ad una persona con il mio profilo politico, uno  che non ha mai rinunciato alla battaglia per un’autentica laicità, che è stato per quasi un decennio il leader nazionale della principale associazione gay, che ha una posizione netta sul tema del testamento biologico o sui diritti lgbt, si riconosca un ruolo importante nel Partito democratico. Il Pd è un luogo in cui si confrontano tradizioni riformiste diverse ed anche il pensiero laico più radicale vi trova piena cittadinanza.
Quello che è successo di nuovo è che un gruppo consiliare di 24 persone (uno fra i più grandi gruppi  consiliari  Pd d’Italia), composto per un terzo da persone provenienti dall’esperienza della Margherita, ha affidato – con voto segreto e unanime –  ad una persona con questa storia la responsabilità di guidare il gruppo, cioè di costruire le posizioni comuni.

Significa che qualcosa di profondo sta accadendo, non solo nella società votante ma anche nel corpo stesso del partito. Significa che la scommessa di puntare sul più grande partito della sinistra italiana per partecipare concretamente alla costruzione di un paese laicamente più moderno può funzionare.
Per me, significa anche che a posizioni come quelle di Bersani sul matrimonio gay, ancora segnate da un’insopportabile mancanza di coraggio e dall’incapacità di articolare concretamente la bandiera sventolata della laicità, non si risponde con arroccamenti identitari, ma proseguendo con determinazione sulla strada della contaminazione. Le pregiudiziali, grazie al nostro lavoro, stanno cadendo e posizioni come le mie – come quella sul matrimonio civile per le persone dello stesso sesso – anche se non incontrano ancora atti concreti da parte dei vertici del partito non sono più corpi estranei ma fili della trama con cui si vuole costruire un’Italia differente.

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