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Il testo del mio intervento di inizio seduta nel Consiglio comunale di lunedì scorso sul Decreto del Prefetto di Bologna di applicazione della direttiva del Ministro degli Interni per le manifestazioni nei centri urbani e nelle aree sensibili 

Qualche giorno fa è stato reso pubblico il decreto del Prefetto di Bologna di applicazione della direttiva del Ministro degli Interni per le manifestazioni nei centri urbani e nelle aree sensibili. È  la cronaca di una limitazione annunciata. Io ero già intervenuto un paio di settimane fa sulla direttiva del Ministro denunciando il rischio che l’applicazione di quella direttiva conducesse ad una limitazione effettiva delle libertà di manifestare non prevista dalla nostra Costituzione ed è quello che, a mio giudizio, è avvenuto con il decreto prefettizio.
L’articolo 17 della nostra Costituzione pone come unica limitazione alla libertà di manifestare i motivi legati alla incolumità pubblica ed alla sicurezza.  Lo stesso Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza, cioè il Regio Decreto del 1931 faceva già riferimento al fatto che il Questore può impedire che la manifestazione abbia luogo solo per motivi di ordine pubblico, di moralità o di sanità pubblica.
Come dire – e, appunto, la nostra Costituzione lo ha confermato – che quello del diritto di manifestare non è un diritto che è in disponibilità delle autorità di governo, è un diritto inalienabile delle persone che può e deve essere realizzato tranne che non si leda questo tipo di diritti fondamentali, cioè all’ordine pubblico o all’incolumità.
Quello che è accaduto con la direttiva è che si introducono ulteriori elementi di limitazione che non sono quelli costituzionali.
Si fa riferimento al diritto allo studio, al diritto al lavoro, al diritto alla mobilità. Siamo tutti consapevoli del fatto che in una società complessa, in una struttura urbana complessa come quella del centro storico di una città moderna vadano trovati strumenti nuovi ed adeguati a far sì che i diritti trovino una loro compatibilità reciproca.
Ma io sinceramente faccio molta fatica a comprendere perché la limitazione degli spazi previsti dalla direttiva, cioè la cosiddetta “T”, cioè Via Rizzoli, Via Ugo Bassi e metà di Via Indipendenza e le Piazze Maggiore, Nettuno, Re Enzo e Santo Stefano, che sono tutti luoghi collocati in una zona a fortissima limitazione di traffico, siano quelle che più di altre ledano il diritto alla mobilità, così come non capisco in che senso manifestare in queste zone, in queste e non in altre, possa ledere il diritto allo studio ed il diritto al lavoro.  Io credo che forse un diritto lo ledono, che è il diritto al commercio che l’Ascom ha richiesto di mettere sopra tutti gli altri, ma io ritengo che non sia questo un motivo sufficiente a limitare delle garanzie costituzionali.
Inoltre voglio sottolineare un aspetto che mi sembra particolarmente paradossale. La Direttiva Maroni era nata sull’onda emotiva di una questione specifica, cioè quelle fotografie che hanno impressionato molta dell’opinione pubblica di preghiere islamiche di massa in Piazza Duomo a Milano e in Piazza maggiore a Bologna. “Cerchiamo di impedire che possano nascere conflitti religiosi a seguito di manifestazioni di piazza”, questo era il senso iniziale di quella proposta,
Cosa succede adesso invece? Che questa limitazione, prevista dalla direttiva, trova un’unica eccezione, proprio nella possibilità di fare manifestazioni religiose.  Il che significa che un’altra manifestazione islamica in Piazza Maggiore con preghiera di fronte a San Petronio potrà essere concessa, una manifestazione sindacale o ambientalista il sabato pomeriggio invece non potrà essere concessa.
Peraltro voglio sottolineare come né la nostra Costituzione, né il testo unico di pubblica sicurezza introducano un maggiore favore alle manifestazioni religiose, rispetto a manifestazioni politiche o di altro tipo.  Quindi non capisco come – invece – nel Decreto del Prefetto di recepimento della direttiva del Ministro, si vada a fare una differenziazione dando maggiori possibilità di manifestare alle organizzazioni religiose e una minore possibilità alle organizzazioni politiche, sindacali o associazionistiche di vario tipo.
È per questo che io voglio rimarcare in questa sede la mia contrarietà a questa misura. Voglio augurarmi che il periodo sperimentale, che peraltro sarà molto breve perché dovrà tenere conto delle regole dell’imminente  campagna elettorale, convinca tutti non necessità di una misura di questo genere di fronte alla priorità del diritto alla libera manifestazione.

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