Il mio intervento in Senato sul decreto del governo su figli legittimi e naturali.
Senato della Repubblica
15 luglio 2013
Seduta N°66 XVII legislatura
Pochi giorni fa il Governo ha dato compimento, con il decreto legislativo in materia di filiazione, ad una nuova, bella pagina di quel processo di riforma del diritto di famiglia che ha avuto il suo momento d’oro negli anni Settanta e si è poi rallentato, lasciando tanti nodi ancora irrisolti.
Uno dei principali era certo l’odiosa ed anacronistica distinzione fra figli legittimi e figli naturali, come se i primi non fossero anch’essi un prodotto della natura e i secondi andassero relegati ai margini della legalità.
“Mai più figli divisi in categorie di serie A e di serie B. Da oggi esistono solo figli senza aggettivi”. Così il presidente del Consiglio Enrico Letta ha commentato l’approvazione di questo decreto tanto atteso e così intriso di un principio di uguaglianza finora negato ed oggi finalmente riconosciuto.
Ma se é stata sanata un’ingiusta discriminazione fra diverse categorie di bambini, non più distinti in naturali, legittimi o adottati, non é ancora realizzato il principio dell’uguaglianza di tutti i bambini di fronte alla legge.
Ci sono bambini italiani con tanti aggettivi (stranieri, immigrati, extracomunitari, di seconda generazione) e senza la cittadinanza italiana, anche se sono nati nel nostro paese da genitori residenti in Italia e frequentano le nostre scuole. A questi bambini dobbiamo dare al più presto quello che è loro: il diritto di essere uguali ai loro coetanei nell’esercizio dei diritti di cittadinanza .
E c’è poi un’altra categoria di bambini a cui oggi è negato dalla legge italiana il riconoscimento di un legame legittimo con i propri genitori.
Si tratta di molte migliaia di figli nati e cresciuti in famiglie composte da due genitori dello stesso sesso, legati biologicamente solo ad uno di essi ma frutto di un progetto genitoriale di entrambi e, soprattutto, inseriti in una dimensione familiare in cui la differenza fra il genitore biologico e l’altro non ha per loro alcun senso, perché quello che ha senso é l’amore che le loro mamme o i loro papà mostrano loro.
Non é in gioco qui un diritto degli adulti ad avere figli in affido o in adozione da parte dello Stato, Qui si parla del diritto di un bambino al riconoscimento di un legame giuridico con chi è a tutti gli effetti suo genitore. Un bambino che, per esempio, non può essere prelevato da scuola senza una delega, ma, soprattutto, un bambino il cui legame col genitore non biologico potrebbe essere troncato di netto da una norma cieca e crudele nel caso di scomparsa della madre o del padre genetico.
ll decreto approvato dal governo introduce alcune novità importanti, che segnano la consapevolezza dei cambiamenti già avvenuti nelle famiglie italiane.
Il primo riguarda la sostituzione del concetto di “potestà genitoriale” con quello di “responsabilità genitoriale”: la potestà, il potere sui figli, viene sostituito dalla responsabilità, il dovere verso i figli. Una responsabilità a cui é assurdo che lo Stato ponga limiti senza invece riconoscerne l’esistenza e promuovere l’esercizio.
Il secondo é il termine di cinque anni dalla nascita per il disconoscimento della paternità. Questo equivale a dire che dopo avere avviato un progetto genitoriale ed averlo portato avanti per un congruo periodo non ha importanza accertare o meno il legame genetico: non è quello che rende tale un genitore ma l’assunzione di un ruolo di cura, di un atteggiamento d’amore, di una responsabilità verso il minore che non é presente solo se c’é un legame di sangue.
Il sangue come unico elemento di legame fra un essere umano e la sua terra, il sangue come unico elemento di unione fra un essere umano e la sua famiglia. C’e qualcosa di ancestrale, di profondo nel legame di sangue. Ma c’é anche molto di arcaico, di anacronistico, di cieco nel considerarlo come il segno esclusivo dei legami d’appartenenza con la collettività e con la propria più intima comunità d’affetti.
Mii auguro che il Parlamento vorrà dare corso alla consapevolezza del diritto di ogni bambino a che il suo rapporto con la terra in cui é nato e cresciuto e con i genitori che lo amano non sia ostacolata ma agevolata dalle leggi dello Stato, al di là della legge del sangue.