Maria Elena Boschi, a cui Gentiloni ha affidato fra l’altro le deleghe alla famiglia e quelle ai diritti e alle pari opportunità, incontrerà le associazioni Famiglie Arcobaleno e Rete Genitori Rainbow, escluse dalla terza conferenza nazionale della famiglia che avrà inizio giovedì 28 a Roma.
Questa è una buona notizia, perché significa che il governo e in particolare la Boschi, che sulle questioni relative ai diritti LGBTI ha dimostrato da tempo grande attenzione, intendono farsi carico di un’esclusione dal forte sapore discriminatorio.
La Conferenza della famiglia è da sempre una spina per chi la organizza, perché nasce come un appuntamento connotato in modo ideologico ed escludente, a partire dal titolo, dove il termine famiglia é, non a caso, declinato al singolare.
La prima conferenza, voluta nel 2007 dalla Ministra Rosy Bindi, fu accompagnata dalle proteste delle organizzazioni gay e lesbiche escluse dall’evento. Quella polemica produsse il rifiuto a partecipare ai lavori di due dei principali relatori, i sociologi Marzio Barbagli e Chiara Saraceno, e di due ministri come Emma Bonino e Paolo Ferrero.
La seconda, organizzata nel 2010 da Carlo Giovanardi, fece meno notizia perché era scontato il tentativo di portare indietro le lancette della storia. Basti pensare che in quella sede si propose di limitare i benefici fiscali ai soli figli nati da genitori sposati, e non a quelli allora definiti “naturali”: una distinzione che sarebbe stata spazzata via dal Parlamento da lì a poco, a riprova dell’inutilità di quella vetrina delle cattive intenzioni.
Anche questa terza conferenza nasce sotto una cattiva luna, eredità imbarazzante dell’ex Ministro per la famiglia Enrico Costa, che l’ha voluta e strutturata per strizzare l’occhio agli integralisti cattolici come risarcimento per l’approvazione della legge sulle unioni civili. Pochi mesi fa Costa ha abbandonato il governo per tornare sotto l’ala berlusconiana, lasciando ai suoi successori una polpetta avvelenata già ben confezionata.
Il profilo dell’evento corrisponde a quello dell’Osservatorio nazionale sulla famiglia, fortemente caratterizzato nel senso della difesa della famiglia cosiddetta “tradizionale ” – se questa espressione può ancora avere un senso – e parte da un presupposto illegittimo, soprattutto dopo l’approvazione della legge 76/2016 sulle unioni civili: quello per cui le famiglie composte attorno a una coppia dello stesso sesso, e in particolare quelle omogenitoriali, non debbano essere considerate famiglie a pieno titolo.
La scelta fatta dall’ex ministro é stata di invitare alcune associazioni, di certo assai rappresentative della comunità LGBTI, come Arcigay e Agedo – l’associazione dei genitori di gay, lesbiche e trans – ma di tenere fuori quelle specifiche delle famiglie con figli, come Famiglie Arcobaleno e la Rete Genitori Rainbow. Come se le famiglie con figli non fossero esattamente il target di riferimento dell’evento. La frittata è fatta e la conferenza – come sembra – si svolgerà negli attuali assetti, senza lasciare nessuna traccia nel Paese com’è avvenuto con i due tristi precedenti.
L’incontro fra le associazioni escluse e Maria Elena Boschi può essere invece un’occasione utile per ribadire l’impegno del governo nella tutela di quei “figli senza diritti” a cui i tribunali italiani stanno riconoscendo il legame giuridico con entrambi i genitori dello stesso sesso anche sulla base del comma 20 della legge sulle unioni civili, ma che rimangono ancora discriminati dalle modalità inique di riconoscimento della responsabilità genitoriale previste dalla nostra legislazione per i figli di coppie dello stesso sesso.
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