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Com’è che le tre T di Bologna (torri, tette, tortellini) hanno mantenuto nel tempo il ruolo di goliardico biglietto da visita della città? Forse perché,  a modo loro, ne rivelano un elemento identitario dotato di un senso più profondo di una cartolina osé acquistata in piazza Maggiore.

Ci aiuta a capirne e ad attualizzarne un possibile significato il lavoro dell’economista statunitense Richard Florida. Analizzando i comportamenti di alcune aziende, Florida scoprì che diverse aziende si trasferivano da città più spente come Pittsburg a città più dinamiche e vivaci come Boston. Non erano i lavoratori a spostarsi per incontrare l’azienda, ma, al contrario, l’azienda a spostarsi dove poteva trovare più personale qualificato. Una vera e propria classe sociale “creativa” formata da ricercatori, scienziati, ingegneri, architetti, educatori, artisti produttori di idee. Una classe di “senza colletto” che rappresenta circa il 30% della forza lavoro nei paesi europei ma che è stata stimata da Florida al 13% in Italia. I loro principi  sono la creatività, il merito e l’apertura alle differenze, che sostituiscono i principi funzionali all’organizzazione fordista del lavoro: l’omogeneità, il conformismo e l’adattamento. Per questo, la loro presenza è più forte nelle città in cui quegli stessi valori trovano una più ampia condivisione. Questo fenomeno socioeconomico per cui la presenza in determinati spazi urbani di un ceto creativo e competente  aperto alle diversità e produttore di novità attira impresa e sviluppo economico è sintetizzato da Florida con la formula delle Tre T : Talento, Tecnologia, Tolleranza.

Ecco, forse anche quelle altre T richiamano ad una tradizione intessuta di progressi tecnologici, di cui le tante torri di Bologna sono testimonianza, capacità creativa (la cultura gastronomica di Bologna è ancora oggi considerata un prodotto di eccellenza in tutto il mondo, anche se ancora poco valorizzata da noi come elemento di promozione turistica) e di libertà dei costumi individuali.

Valorizzare Bologna nello scenario globale significa puntare a rafforzarla come spazio vivo e dinamico, la città dei tanti brevetti, della produzione creativa e dell’accoglienza nei confronti delle diverse soggettività.

La pluralità degli stili di vita va ricomposta in un quadro di coesione sociale, di appartenenza alla comunità cittadina, di condivisione di un progetto comune. Questa ricomposizione non può che avvenire in uno spazio segnato dal principio di laicità. In questo quadro il ruolo delle religioni va riconosciuto come un elemento fondamentale del discorso pubblico  a cui possono dare contributi importanti di crescita collettiva. Allo stesso tempo va tutelato il diritto di ogni persona a costruire le proprie scelte di vita senza condizionamenti e imposizioni, se  non di fronte a comportamenti che comportino danni sociali. Come ci ha insegnato  John Stuart Mill, uno dei padri del liberalismo moderno, “il solo scopo per cui si può legittimamente esercitare un potere su qualunque membro di una comunità civilizzata, contro la sua volontà, è per evitare danno agli altri”.

Il Pd ha intrapreso il difficile percorso di valorizzare la compresenza nel Pd di culture politiche e sensibilità religiose diverse per definire una nuova cultura democratica adatta al XXI secolo  e capace di governare la pluralità di una società complessa. Anche a Bologna il Partito democratico ha già dato prova di sapere produrre nuovi pensieri condivisi , che superino divisioni culturali del passato e guardino ad una democrazia fondata sulla libera responsabilità della persona. Decisioni come quelle sul  registro del testamento biologico o sulle politiche per la famiglia rappresentano un contributo per l’attuazione di quella parola d’ordine che Bologna lanciò già ai tempi del primo Ulivo: “mai più Dozza contro Dossetti”.

Il partito di Bologna può dare un contributo importante al Pd nazionale perché ha mostrato di sapere discutere e fare sintesi. Perché questo avvenga ancora, è importante che il partito venga percepito come uno spazio di discussione aperta, in cui le sintesi di oggi possano diventare materia per plasmare quelle di domani. Occorre aprire luoghi in cui ognuno possa esprimere le proprie speranze e spiegare le proprie ragioni e, contemporaneamente, ascoltare le ragioni di chi ne è più distante, confrontarsi con le sue perplessità e trovare la strada per superarle insieme. Un luogo in cui chi è a favore dell’introduzione del quoziente familiare possa confrontarsi con chi chiede il riconoscimento del diritto al matrimonio per le coppie dello stesso sesso. In cui possa riconoscersi non solo con chi si identifica con un programma praticabile qui ed ora, ma anche chi vuole contribuire a segnarne la rotta. Avendo ben presente il principio per cui le decisioni assunte democraticamente  vengono poi sostenute lealmente anche da chi non le condivide fino in fondo.

Sergio Lo Giudice

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