Roma, 3 dic. (AdnKronos) – Un sì critico, con riserva, e “responsabile” da “dirigenti di partito” che non possono “rischiare di mettere in crisi il governo” per una delega sul lavoro che “è stata migliorata” ma sulla quale “manterremo una vigilanza” quando si tratterà di redigere i decreti attuativi. E’ la sintesi, nelle parole del senatore Federico Fornaro, della linea della minoranza del Pd a palazzo Madama rispetto al voto di fiducia sul Jobs act di stasera.

Fornaro, che si è presentato ai giornalisti insieme a un nutrito gruppo fra i 27 firmatari di un documento politico che spiega le ragioni del via libera pur con tutte le notazioni critiche, ha dato di miglioramenti rispetto al testo iniziale, soprattutto sui licenziamenti per motivi disciplinari e sul controllo a distanza, ma ha notato che “la riforma degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive per il lavoro avrebbe dovuto anticipare riforma dei contratti e non seguirla, con il rischio concreto di finire nel cassetto”. Inoltre, c’è scarsa fiducia nel contratto a tutele crescenti: “In realtà è un contratto con minori tutele”, ha affermato Fornaro.

“Si prenda atto -ha detto il senatore dem- di questo nostro contributo serio, frutto di un ragionamento fatto con la propria testa, nel merito delle questioni: non siamo stati ideologici o, come qualcuno ha detto, ‘cavernicoli'”. Ciò non toglie che, secondo Fornato, “non per questa riforma o per l’art.18 che arriveranno gli investimenti stranieri”, perché gli investitori sono scoraggiati molto di più “da giustizia civile, costi dell’energia e burocrazia”. Fra i 27 firmatari, in prevalenza di area bersaniana, ci sono Miguel Gotor, Luigi Manconi, Maurizio Migliavacca, Vannino Chiti, Cecilia Guerra, Erica D’Adda, Paolo Corsini, Claudio Martini, Rosaria Capacchione, Sergio Lo Giudice (considerato, però, più vicino all’area civatiana).

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