Modificare la legge elettorale è l’obiettivo dichiarato di (quasi) tutte le forze politiche ma nessuno sembra in grado di trovare la strada. Come nell’Angelo sterminatore di Buñuel, i protagonisti sono chiusi in un luogo da cui, come per una maledizione, nessuno riesce ad uscire né sa spiegarsene la ragione.

In verità il Pd questa volta era arrivato a trovare una soluzione condivisa da tutte le sua anime, adeguata ad uscire dalla palude delle larghe intese e ad evitare di tornarci. Collegi plurinominali su base provinciale, obbligo dell’alternanza di genere, soglia del 40% per accedere al premio di maggioranza ed evitare così l’anomalia di una forza del 25% che prende tutto, doppio turno di coalizione con ballottaggio fra le due liste più votate nel caso in cui nessuna raggiunga il 40% . Un meccanismo che agevolerebbe l’alleanza fra simili, garantendo la stabilità delle maggioranze e la governabilità del paese, ed eviterebbe il rischio di intese innaturali fra avversari.

Il fatto é che fra le maledizioni del porcellum c’é anche quella di avere prodotto in Senato un sistema tripolare che impedisce di sostituirlo con un’altra legge elettorale senza un’alleanza fra almeno due dei tre poli. E questa alleanza ad oggi non c’é. Grillo ha già detto chiaro e tondo che vuole tenersi la legge porcata, anzi gli è piaciuta così tanto che ha comunicato ai suoi che le liste per le europee le farà lui senza passare dalle parlamentarie.

Il Pdl sembra nel pallone: avrebbe votato la proposta del Pd (invece bocciata in commissione Affari Costituzionali del Senato) a patto che si eliminasse il doppio turno, dando vita così ad una sorta di porcellonum che avrebbe la conseguenza di rendere necessarie le larghe intese.

Che fare? Intanto, per una volta, assumere una posizione chiara e comprensibile, magari in assonanza con quello che il nostro elettorato ci chiede: fare una legge che permetta di distinguere chi vince e chi perde, chi governa e chi fa l’opposizione.

A me piace la proposta fatta da Pippo Civati, basata su alcuni punti chiari: collegi uninominali, con primarie per scegliere i candidati, maggioritario a due turni, parità di accesso ai media, criteri più stringenti di incandidabilità e di ineleggibilità, accesso dei diciottenni al voto per il Senato. Ad ogni modo oggi è il tempo di trovare un’intesa e di fare presto. Io, come tanti altri parlamentari e sulla base di quanto dichiarato in quei giorni da Guglielmo Epifani, il 2 ottobre ho confermato la fiducia al governo Letta sulla base di due obiettivi urgenti e irrinunciabili: la legge di stabilità e la legge elettorale.

Se in Senato l’opposizione di Grillo e Berlusconi, che al porcellum si sono affezionati, ci impedisce di ammazzarlo per Natale, si riparta dalla Camera, dove il Pd ha i numeri (potenza della legge Calderoli) per approvare una buona legge. E si metta da parte una volta per tutte la tentazione di affidare a Letta e Quagliariello l’onere di una proposta. Una legge elettorale per decreto del governo sarebbe l’ultima onta per un Parlamento che non può e non deve rinunciare alla dignità di riformare da se stesso le regole per la sua composizione.

Articolo pubblicato sull’Huffington Post

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