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È finita così. Fra l’immondizia concreta di Napoli e quella morale degli affaire Mastella e Cuffaro. Finisce la corsa di un governo immobilizzato dai veti centristi e per questo incapace di portare avanti il suo programma, ma che aveva tenuto ferma la barra su alcune questioni fondamentali: il risanamento dei conti, la lotta all’evasione fiscale, una politica estera autonoma. Finisce per il voto contrario di una destra alla vaccinara che mostra il suo volto più becero nel suo momento di festa, a spumante e mortadella fra i banchi del Senato. Ho avuto occasione di conoscere in un locale gay di Catania il senatore di An Nino Strano, anche se imparo da la Repubblica di oggi che il senatore si squaglia davanti a un omone di marmo, ma preferisce non toccare quelli in carne ed ossa. “Mi fermo un attimo prima” dichiara l’Esteta, con un effetto comico che ricorda la famosa canna fumata ma non aspirata da Bill Clinton. Strano è quel bell’uomo con un pullover rosso sulle spalle immortalato da fotografi e videocamere mentre fa risuonare nello spazio grondante di storia di Palazzo Madama il suo “pezzo di merda, checca squallida” all’indirizzo del collega Cusumano. A lui va la palma di icona di questo cambio di passo della politica italiana.

 

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