Ci sono tanti nuovi modi di essere razzisti. Oggi non si fa più carriera accademica teorizzando la superiorità genetica di un ceppo razziale sugli altri, come accadeva in Italia fino a settant’anni fa. Nè vanno di moda quei gruppi di vendicatori della stirpe biancovestiti e incappucciati che impiccavano o bruciavano i neri che non volevano stare al loro posto.

Oggi per capire dove si annida il razzismo bisogna partire da un presupposto: i razzisti non esistono più. Nel senso che (quasi) nessuno oggi argomenta apertis verbis la superiorità di una razza sull’altra. Oggi il razzismo poggia su una premessa condivisa ( qui nessuno è razzista) e poi si allena a produrre una casistica di conseguenze gravide di xenofobia, odio razziale, discriminazione violenta.

Il razzismo più difficile da riassorbire in un sereno equilibrio sociale si annida dove c’è povertà, perché si fonda su uno scontro fra miserie ( per la casa popolare, per un lavoro mal pagato) e si alimenta di bisogni essenziali e di disagio reale. Ancor meno giustificabile è quello che alligna ai piani alti della società ed è segno di egoismo sociale ma anche di una visione culturale asfittica, che nega il valore storico e civile dell’integrazione fra diversità culturali per ignoranza.

Ma assai più intollerabile è il razzismo a fini politici, quello di chi vuole lucrare in termini elettorali sul disagio della povera gente indicando un nemico a basso costo negli stranieri, nei neri, negli islamici, nei poveri della porta accanto.

Questo vile mettere all’indice una parte della popolazione italiana per sue condizioni personali, in spregio all’art.3 della Costituzione, trova le sue vette luciferine quando sono i vertici delle istituzioni a propagandare le discriminazioni bandite dal Trattato europeo come veleni di un’età di guerre interne da cui l’Europa vorrebbe affrancarsi.

Per questo un’offesa razzista del vice presidente del Senato alla prima Ministra di origine africana della storia della Repubblica è un’onta alla dignità internazionale dell’Italia che non può essere cancellata con una telefonata di scuse. Per questo stamattina ho spedito una segnalazione formale di quanto accaduto all’Unar, l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, l’organismo anti razzismo di cui il governo italiano, come gli altri governi europei, si è dotato su richiesta di una direttiva europea.

All’Unar arrivano frequenti segnalazioni di atti di razzismo, xenofobia, omofobia che l’ufficio monitora per verificare la gravità di quella piaga e pianificare le risposte. Questa segnalazione mi sembrava doverosa perché quando la discriminazione si fa istituzionale significa che il livello di gravità è alto. Perché è lo Stato che dovrebbe proteggerti a presentarsi col volto violento dell’odio etnico.

Articolo pubblicato sull’Huffington post
http://www.huffingtonpost.it/sergio-lo-giudice/

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