“La sentenza della Corte Costituzionale n.138 del 2010 ha negato fondamento costituzionale al diritto al matrimonio tra due persone dello stesso sesso. Dunque, il suo riconoscimento e la sua garanzia –cioè l’eventuale disciplina legislativa diretta a regolarne l’esercizio -, in quanto non costituzionalmente obbligati, sono rimessi alla libera scelta del Parlamento”.

È questo uno dei passaggi più significativi della storica sentenza 4184 della Cassazione che ha ribadito il “diritto alla vita familiare” delle coppie dello stesso sesso. Ora non è necessario essere un giurista per comprendere il significato di quella affermazione: la Costituzione  non garantisce in automatico né vieta il riconoscimento del diritto al matrimonio per le coppie omosessuali, scelta che è demandata alla decisione del Parlamento.

Il giorno dopo, ecco su l’Unità il commento di Stefano Ceccanti, costituzionalista del Pd e ispiratore della proposta dei DiCo durante il secondo governo Prodi. Ceccanti, ignorando di fatto le argomentazioni della Cassazione, insiste nell’affermare che l’estensione del matrimonio alle coppie dello stesso sesso necessiterebbe dei tempi lunghi “richiesti da una revisione preventiva della Costituzione” e che quindi occorre percorrere la via di “un riconoscimento significativo ai diritti e ai doveri senza sfociare in una secca equiparazione”, così come sta procedendo la commissione Diritti del PD.

Possono esserci diversi motivi per ritenere che alle coppie gay e lesbiche debba essere negata l’equiparazione di diritti e doveri: preclusioni di carattere religioso, pregiudizi di stampo omofobico, valutazioni di opportunità politica, strategie parlamentari. Ma dopo la sentenza della Cassazione (se non già dopo il pronunciamento della Consulta dell’aprile 2010) l’argomento della necessità di una riforma costituzionale che, se la logica ha ancora un valore  e le parole un significato, è stata esclusa dalla Cassazione, suona come un alibi.

In questo scenario l’intervento di Ceccanti assume un significato eminentemente politico: evitare che la sentenza della Cassazione possa influire sul processo di mediazione politica oggi in atto in seno al PD che vorrebbe collocare l’asticella del riconoscimento dei diritti delle coppie dello stesso sesso al di sotto della tacca scolpita dalla Suprema Corte.

Che nel Partito Democratico ci sia una minoranza contraria al riconoscimento dei diritti di gay e lesbiche è un dato di fatto: prova ne è stato il voto all’emendamento contro le famiglie omosessuali espresso da tre europarlamentari del PD ( Silvia Costa, Patrizia Toia e Vittorio Prodi) , mentre gli altri 18 componenti del gruppo votavano compattamente per respingerlo. Così, indigna ma non stupisce leggere su Europa le argomentazioni di Costa & Toia (peraltro sommerse sul sito del giornale da una valanga di critiche) che arrivano a paventare “una mutazione antropologica e un indebolimento della costruzione dell’identità sessuale di bambini e bambine”, in spregio a qualsiasi letteratura scientifica sull’argomento. Qui non siamo fuori dall’alveo del socialismo europeo ( la Risoluzione di cui sopra era stata presentata da una deputata dell’Alde, il gruppo liberale di cui faceva parte la Margherita; il premier inglese conservatore David Cameron sta per estendere il matrimonio civile  a gay e lesbiche; François Bayreau, il candidato terzopolista alle presidenziali francesi che Fioroni e Follini vorrebbero fosse appoggiato dal PD è per un potenziamento dei Pacs e per l’adozione per le coppie gay e lesbiche): qui siamo proprio fuori dall’Europa.

Ma il fatto preoccupante non è la presenza di posizioni minoritarie estreme, bensì il livello a cui si sta definendo la sintesi, cioè quella che sarà la proposta del PD per le prossime elezioni politiche. Ebbene, le parole di Ceccanti come quelle di Rosy Bindi – a cui è affidato il compito quale presidente della commissione Diritti del PD – sembrano essere pericolosamente più attente ai timori di Costa e Toia che alle indicazioni della Consulta. Su questo è bene che ci sia consapevolezza e, soprattutto la necessaria e attiva attenzione di chi, nel PD, mira a riconoscere il fondamentale diritto di gay e lesbiche a fare famiglia attraverso una soluzione di stampo europeo.

Sergio Lo Giudice

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