La città di Bologna ha saputo che il suo sindaco, Virginio Merola, è iscritto nel registro degli indagati. Non per corruzione, non per spese pazze, non per avere fatto prevalere il proprio interesse su quello pubblico.

Il sindaco è indagato per due ordinanze con cui, il 27 aprile e il 29 maggio scorsi, ha ordinato di riallacciare l’acqua corrente in due stabili in cui vivevano complessivamente circa 300 persone, fra cui decine di bambini, neonati, anziani e disabili.

In quanto massima autorità sanitaria della città non poteva ignorare un bisogno essenziale e un diritto fondamentale come l’accesso all’acqua, né sottovalutare i rischi sanitari legati all’assenza di condizioni igieniche basilari.

Ma questa azione necessaria da parte di un sindaco si è andata a scontrare contro una norma ottusa e cieca qual è l’articolo 5 della legge 80 del 2014, il cosiddetto decreto Lupi , una norma che questo Parlamento ha votato, respingendo le proposte di modifica, senza tenere nella giusta considerazione le sue conseguenza sui diritti primari delle persone.

Quell’articolo del Piano casa impedisce a chi occupi abusivamente un immobile l’accesso alla residenza e l’allacciamento ai servizi pubblici essenziali, come appunto l’acqua. Già dopo pochi mesi dall’approvazione della legge ci si è resi conto dell’assurdità di impedire, escludendo dalla residenza, l’accesso ai servizi sanitari di base. Per questo motivo, nel febbraio scorso, il Ministero dell’Interno ha dato una nuova interpretazione a quella norma relativamente alla residenza, dando direttiva che a chi occupi uno stabile a fini abitativi sia consentita la residenza in una via fittizia. Ma il divieto di accesso all’acqua è rimasto in piedi.

Nel maggio scorso, insieme ad altri senatori, abbiamo presentato un’interrogazione, ad oggi senza risposta, in cui chiedevamo al ministro Delrio di ripensare quella legge. Non è con questa rigidità normativa che le amministrazioni locali possono affrontare un’emergenza abitativa che sta dentro al tema, ad oggi non affrontato in modo adeguato, della crescita delle nuove povertà e delle nuove fragilità sociali.

È impensabile che una legge dello Stato impedisca ai primi cittadini di valutare il caso concreto di un’emergenza igienica, di un rischio sanitario, di una pericolosità per la salute di bambini e anziani. La ferma e netta condanna di ogni azione illegale e di ogni occupazione abusiva non può comportare che chi ha la responsabilità della salute dei cittadini non abbia un margine di autonomia per decidere in quali condizioni le limitazioni previste dall’art.5 entrino in conflitto con l’esigenza di garantire condizioni igieniche di base o il diritto costituzionale alla salute.

Qui non siamo in presenza di un contrasto fra le leggi di dio e quelle degli uomini, né siamo di fronte al conflitto interiore di una nuova Antigone. In uno Stato di diritto le norme le fanno gli organi costituzionalmente preposti, non sono calate dal cielo né possono violare diritti fondamentali costituzionalmente garantiti, e se una norma impedisce che un bambino o un vecchio malato ricevano l’acqua necessaria allora il legislatore non può girarsi dall’altra parte. Sta a questo governo e a questo Parlamento trovare il modo di risolvere questo contrasto insostenibile.

Sergio Lo Giudice

Articolo pubblicato su Huffington Post

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