L’Unità di oggi ospita un mio intervento di risposta ad un articolo di Francesca Izzo (http://www.senonoraquando.eu/?p=14118) portavoce di  Se Non Ora Quando? sul tema diritti civili e famiglie.

Unità 01/10/2013
È UN ERRORE CONTRAPPORRE I DIRITTI CIVILI ALLE FAMIGLIE

di Sergio Lo Giudice

Il dibattito sui diritti civili è scandito da un luogo comune: l’idea che riconoscerli significhi toglierne ad altri, come se fossero, come il petrolio, una risorsa limitata e non rinnovabile.C’é sempre una priorità da sventolare – come se una legge  contro l’omofobia potesse essere di impedimento al rifinanziamento della cassa integrazione o alla modifica della legge elettorale – o una contrapposizione artificiosa da sostenere. Ne ha parlato domenica su questo giornale Francesca Izzo.
La vicenda delle dichiarazioni di Guido Barilla (“chi non si riconosce nella famiglia tradizionale mangi un’altra marca di pasta”) e della repentina retromarcia di fronte  alle proteste dei clienti internazionali la dice lunga su questo equivoco, sui danni che può provocare a un corretto dibattito pubblico e sulla sua estraneità al sentire diffuso nel resto dei paesi democratici.
Se Barilla  ha commesso un clamoroso errore di marketing contrapponendo le famiglie tradizionali alle nuove realtà  familiari, due segmenti altrettanto consistenti della propria clientela, è perché è scivolato sul malinteso per cui ampliare la platea di chi ha piena cittadinanza significa toglierne un po’ ad altri.  Ma se una pasta non scuoce non importa chi altri la mangia sotto un altro tetto e se una nuova coppia può accedere al matrimonio questo non toglie felicità a chi già può farlo. L’unico scettro che viene messo in discussione è quello del monopolio su un diritto, cioè del privilegio, di chi vuole mantenere un potere sugli altri, come fu per i maschi sul diritto al voto, per i bianchi in paesi a segregazione razziale, per i padri fino all’abolizione della “patria potestà” dal nostro ordinamento.
Allo stesso modo è fonte d’equivoco considerare da un lato i diritti delle famiglie eterosessuali e dall’altro quello delle famiglie omosessuali, come se si trattasse di due realtà che necessitino di misure diverse, una sorta di “gabbie dei diritti” che riproduca le distorsioni delle gabbie  salariali introdotte negli anni ’50. È un errore ottico pensare che asili nido, politiche di conciliazione, lavoro di cura riguardino solo le famiglie eterosessuali, quasi che le famiglie omosessuali reclamassero per sé altro che non sia la possibilità di vivere la propria vita familiare come le altre. L’uguaglianza dei diritti non annega le differenze ma è la condizione necessaria a valorizzarle e ad impedire che una condizione sociale o personale crei una immotivata situazione di disparità.
La polemica sui moduli scolastici ha risentito di questo equivoco, spesso alimentato ad arte. I genitori omosessuali non vogliono certo abolire le parole mamma e papà: nelle lorocase queste parole risuonano al quadrato, Chiedono che i loro figli non siano messi in una situazione di disagio, si presentano alle scuole nella loro specificità chiedendo, nell’interesse dei bambini, che non venga taciuta o disconosciuta: non propongono dineutralizzare le differenze ma di  esplicitarle. Ma il rispetto delle diversità passa dall’uguaglianza del riconoscimento pubblico e questo talvolta richiede che le istituzioni abbiano un atteggiamento neutrale.
La pluralità delle religioni e delle visioni del mondo è un bene garantito dalla Costituzione. Ma sembrerebbe inaccettabile che questa caratteristica venisse annotata sui nostri documenti. Il rispetto della specificità delle diverse età della vita è una conquista culturale moderna, ma un atteggiamento di contrasto alla discriminazione istituzionale richiede di evitare di chiedere l’età in un modulo di assunzione quando non sia strettamente necessario. Un progetto di  maternità è un’esperienza fondamentale, ma a quale donna farebbe piacere che divenisse oggetto di un colloquio di lavoro? La neutralità delle istituzioni e del loro linguaggio può essere strumento di uguaglianza. Solo sul  riconoscimento della pari dignità sociale e della piena uguaglianza giuridica garantita dalla prima parte dell’art. 3 della Costituzione si può fondare quella differenziazione degli interventi che miri a promuovere le diversità e a rimuovere gli ostacoli al pieno sviluppo di ogni persona.

Sergio Lo Giudice

l'Unità 01.10.13 l'Unità

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