Sono intervenuto in aula sul tema dell’equilibrio di genere nelle liste elettorali. Non si tratta di fare un favore alle donne: si tratta di restituire alla politica italiana il fondamento costituzionale del principio di uguaglianza sostanziale. E si tratta anche di rendere migliore la politica che, saldamente in mano agli uomini, non sempre ha dato buona prova di sé e che non può che giovarsi positivamente del rafforzamento di un altro punto di vista di genere.

Il testo dell’intervento:
PARITÁ DI GENERE, DIRITTI DI TUTTI

Il disegno di legge che stiamo discutendo tratta delle garanzie per la rappresentanza di genere per l’elezione dei componenti italiani del Parlamento europeo, a partire da più disegni di legge fra cui quello della sen.Fedeli che io stesso ho sottoscritto. www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/00736231.pdf

Sull’adozione di misure per il riequilibrio di genere in questi giorni se ne sono dette di ogni colore. Si è parlato di riserve indiane, di specie protette, di discriminazione al contrario, di ostacolo alla meritocrazia.

Purtroppo nel nostro paese – e anche quanto accaduto alla Camera sull’Italicum ne è la conferma – manca una reale cultura antidiscriminatoria: il risultato é che ogni azione di contrasto alle discriminazioni viene percepita come un intervento improprio sul libero svolgersi degli eventi naturali.

Ebbene, sarà forse conforme agli istinti naturali che un gruppo numericamente maggioritario o, com’é in questo caso, prevalente per forza o per potere si imponga rispetto ad altri gruppi meno forti, potenti o numerosi o sui singoli individui. Ma il nostro consesso sociale e la nostra civiltà democratica si fondano non su meccanismi ferini bensì su quel patto sociale di cui la Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 é il fondamento principale.

É lì , all’art.2, che gli Stati hanno stabilito che tutti i diritti e le libertà enunciati nella dichiarazione spettino a tutti senza distinzione di sesso e , all’art.21, che ognuno ha il diritto di partecipare anche direttamente al governo del proprio Paese. Soprattutto, é lì che, all’art.7, trova spazio il diritto di tutti ad una eguale tutela contro ogni discriminazione.

Ed é proprio sul concetto di discriminazione che dobbiamo intenderci. Ci aiuta l’art.3 della nostra Costituzione che, non se la cava affermando l’uguaglianza di tutti i cittadini, ma all’enunciazione del principio fa seguire subito l’impegno della Repubblica a rimuovere gli ostacoli che impediscano l’effettiva realizzazione di quell’intento. Rimuovere gli ostacoli. É di questo che stiamo parlando.

La direttiva 54 del 2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, sull’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, é molto chiara nel determinare, come già in precedenti direttive antidiscriminatorie, il principio della discriminazione indiretta, definita come una “situazione nella quale una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una situazione di particolare svantaggio le persone di un determinato sesso, rispetto a persone dell’altro sesso, a meno che detta disposizione, criterio o prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari”.

Ora é più che evidente che disposizioni, criteri e prassi utilizzate per la composizione delle liste elettorali in Italia spesso producono situazioni di particolare svantaggio rispetto alla componente femminile.

Nel nostro contesto sociale permangono differenze di trattamento e di opportunità sociale molto forti fra uomini e donne, ma nonostante ciò è indubbio che le donne abbiano ampiamente dimostrato di avere capacità non certo inferiori a quello degli uomini nelle professioni così come nell’attività politica.

A fronte di ciò, il 25 posto occupato dall’Italia per percentuale di donne parlamentari europee nella graduatoria dei paesi del’Unione, un misero 23% a fronte del già non entusiasmante 36% complessivo, rappresenta una vergogna senza scusanti.
Non si tratta qui di creare situazioni di privilegio né tantomeno, come ogni tanto sembra emergere da qualche dichiarazione, di fare atti di cortesia o di cavalleria.

“Non c’è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali” scriveva don Lorenzo Milani mezzo secolo fa: non c’è giustizia nel gestire situazioni di disparità nelle opportunità come se tale disparità non esistesse.
Non si tratta di fare un favore alle donne: si tratta di restituire alla politica italiana il fondamento costituzionale del principio di uguaglianza sostanziale. E si tratta anche, mi sia consentito di esprimere un convincimento personale, di rendere migliore la politica che saldamente in mano agli uomini non sempre ha dato buona prova di sé e che non può che giovarsi positivamente di un rafforzamento di un altro punto di vista di genere.

Le leggi del nostro paese oggi consentono che accada quello che é accaduto pochi giorni fa a Valentina, stretta in una morsa terribile fra leggi fatte da una maggioranza di uomini.

Valentina, a cui l’odiosa legge 40 ha negato la diagnosi preimpianto nonostante la presenza di una terribile malattia genetica, costringendola ad un aborto terapeutico al quinto mese di gravidanza.

Valentina, a cui l’aberrante gestione della legge 194 ha negato la possibilità di un medico ad assisterla, perché in Italia la gran parte dei ginecologi sono obiettori di coscienza, anche perché se non sei obiettore di coscienza non fai carriera negli ospedali italiani, costringendola ad abortire da sola, in terra, nel bagno di un ospedale a pochi chilometri da questo palazzo.
Un punto di vista di genere nella creazione delle leggi é un elemento fondamentale per leggi capaci di guardare alla vita reale delle persone. Le regole elettorali che ci diamo devono impedire che questo non avvenga a causa di quei rapporti di forza ineguali che ancora caratterizzano il rapporto fra generi nel paese,

Questo, va da sé, dovrà valere anche per le elezioni nazionali. Quando la legge elettorale per lil rinnovo del Parlamento arriverà in Senato, l’introduzione di elementi di effettiva parità di genere dovrà essere una modifica necessaria del testo approvato dalla Camera
Un mio alleato di maggioranza – lo ripeto a me stesso perché faccio fatica a convincermi di questa stranezza – il sen.Sacconi , si é ironicamente rallegrato per il fatto che oggi “tutti – cito le sue parole- anche i teorici lgbt parlano solo di maschi e femmine”.
Non deluderò il senatore Sacconi: oggi parliamo di gender balance, di equilibrio di genere, un concetto che fa sorridere il collega Gasparri ma anche un tema che riguarda tutti coloro che abbiano a cuore un avanzamento del nostro paese sul piano delle libertà e dei diritti. Perché il tema dei diritti non è questione di corporazioni o di lobby, di interessi particolaristici, ma una grande questione di civiltà giuridica e di spessore democratico di una società. E in questo senso i diritti delle donne sono anche i miei diritti, perché non c’é pieno esercizio di diritti per nessuno se non sono pienamente riconosciuti i diritti e le libertà di tutti e di tutte.

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