Il 9 settembre due ragazzi vengono aggrediti al Colosseo. È l’ennesimo caso, ma stavolta cade in un periodo di aggressioni frequenti contro diverse minoranze, per cui i giornali nazionali ne parlano. Battaglia interviene: l’episodio va perseguito “ma” senza creare allarmismi. I reati d’odio vanno perseguiti, “ma” a Roma non c’è nessuna emergenza. La vivibilità della città può essere migliorata “ma” senza creare il falso mito della discriminazione antigay. E conclude invitando Alemanno (e Veltroni) al Gay Village. Sarebbe il segno – dice – che la politica italiana sta progredendo “al di là di certi vittimismi gay”. È evidente il tentativo di accreditamento verso
Il 14 settembre Imma Battaglia rilancia con una lettera a Repubblica sulla polemica fra Arcigay e Francesco Merlo sul modo in cui i giornali avevano trattato la presenza, fra le vittime dell’incidente aereo di Madrid, di una famiglia gay. “Ho condiviso ogni parola dell’articolo di Francesco Merlo – scrive l’ineffabile Battaglia -. Non se ne può più di questo bisogno di urlare una condizione che è normale, non ha nulla di particolare e che non subisce alcuna vera discriminazione”. Sono d’accordo su un punto: per costruire consenso dobbiamo trovare le parole giuste, le urla e gli insulti possono scatenare un applauso ma non aiutano a trovare le soluzioni , vedi http://it.youtube.com/watch?v=MFyH1oc3Thk . Ma come fa una donna lesbica, che conosce il percorso difficile di superamento dello stigma sociale e ha sentito – immagino – tante e tante storie concrete di emarginazione, di soprusi, di negazione della dignità decidere di scrivere ad un giornale per sostenere che le discriminazioni sono un’invenzione del vittimismo gay, come farebbe un qualsiasi Calderoli o Baget Bozzo?
Il 19 settembre, Battaglia incontra il ministro Rotondi che, insieme al collega Brunetta, ha anticipato una proposta di legge che affronti il tema delle coppie di fatto attraverso un contratto privatistico. Un fatto importante, quello dei due ministri, a cui occorre dare la giusta attenzione. Ma lei va oltre “Non vogliamo urlare (vedi sopra ndr). Non possiamo più bloccare questo Paese sullo scontro ideologico. Lo devono capire prima di tutte le associazioni omosessuali”. Ci pensate Grillini fare le stesse affermazioni un anno fa dopo un incontro con Rosi Bindi?
Il punto, insomma, non è una disponibilità a cogliere i segnali positivi che vengano dal centrodestra. Chi scrive è stato lieto di fare un pezzo del Pride di Bologna a fianco di Benedetto Della Vedova, deputato di Forza Italia e sarà ancora più lieto se Mara Carfagna vorrà servirsi del contributo della Commissione Lgbt a tutt’oggi in sonno presso il suo Ministero. Il punto è se un rapporto del movimento lgbt con la destra debba passare attraverso un’adesione alle sue parole d’ordine e alla sua visione culturale dell’omosessualità.
Sullo sfondo rimane un’altra questione: se le varie associazioni del movimento debbano o no accreditarsi verso questa o quella forza politica come una sponda privilegiata. In questo senso la frenetica attività della scandalosa Imma può servire come metro di paragone per tutti, da Arcigay, che dal suo congresso ha avviato un percorso – non ancora concluso – di ridefinizione del suo rapporto con le forze politiche, a tutte le altre, che oscillano fra una critica alla
Caro Lo Giudice,
Qui, a mio modestissimo modo di vedere le cose, non è tanto se rapportarsi alla destra o alla sinistra e in quale modo.
In discussione ci sono il senso e la natura stessi del movimento e dalla pluralità di soggetti che lo compongono e che sono prevalentemente associativi.
Andiamo dalle posizioni antagoniste di certune formazioni alle posizioni nuove e fin troppo possibiliste di certi altri.
E purtroppo, pur correndo il rischio di ripetermi, la questione riguarda sempre la solita domanda: “a chi giova?”
Pur rispettando la pluralità del movimento non può negarsi la sua irrilevanza sul piano politico. Il fatto di continuare a cantare ognuno la sua canzone, consente alla politica istituzionale di strumentalizzare i più sprovveduti. Ed ecco che improvvisamente si aprono spiragli (demagogici) sui quali chi è a caccia di riciclo o di visibilità si affretta a poggiare il proprio cappello.
Quindi, quello di Imma, che è pur sempre un episodio di una discreta gravità politica, non è altro che l’ennesimo manifestarsi di una “malattia” sociale del nostro movimento, che rimane saldamente allineato alla sua tradizione, e rimprovera alla politica esattamente quello che egli stesso non sa/vuole fare: rinnovarsi.
Ancora una volta non posso che sottoscrivere il tuo intervento. In esso leggo anche le mie “piccole” parole spese da almeno un anno, in questa direzione, sui nostri siti. Lo slogan mi mancava e lo adotterò: Distinti ed equidistanti.
Mi trovo anche d’accordo con Allegrezza su quella parte del suo intervento che riguarda la “malattia del movimento”, identica a quella di un sistema politico criticato, ma dal quale sembra che lo stesso (in molte sue parti) abbia attinto a piene mani nella ricerca dell’egemonia “prima d’ogni altra cosa”.
Una “lotta” che ha portato il movimento tutto a dimenticarsi per mesi dei bisogni che dobbiamo o tutelare o promuovere o, se necessario, per i quali dobbiamo lottare, anche duramente, anche con una disubbidienza civile che poco piace alle leadership LGBT, forse perché sposta REALMENTE il potere dalle “sale riunioni” alla gente o forse perché, misurerebbe quanta poca fiducia gode presso le persone che dovrebbero essere di riferimento.
Sta di fatto che, a questo punto, fra gli “opposti estremismi” di una Battaglia autoreferenziata presso la Destra e un Facciamo Breccia (e limitrofi.. difficile dire dove inizi e finisca una aggregazione non registrata)antagonista stile “anni ’70”, chi ha a cuore “la causa”, chi ha iniziato a fare volontariato perché ci crede, non può stare a guardare. A costo di diventare “terzo protagonista” nella lotta egemonica, è fondamentale riportare tutte le Ass.ni che ci si riconoscono, nell’alveo del nostro ruolo primario: l’informazione, il supporto e la produzione di istanze concrete per migliorare la qualità di vita delle persone LGBTQI e allargare il diritto di cittadinanza, oggi ben ridotto e – se me lo posso permettere – in particolar modo per le persone transgender.
Dobbiamo in qualche modo avere fiducia nei due milioni e passa di gay, di lesbiche, di bisessuali, di transgender ecc. e imparare ad essere un VERO riferimento delle istanze “popolari”. Non c’è un colore politico preciso nei diritti delle persone LGBTQI. L’omolesbotransfobia, il sessismo, l’eterosessismo, il genderismo sono trasversali nella mentalità della “gente”.
Ricordo quando un circolo del PDS ospitava i Gruppi di AutoAiuto di Crisalide. Una sera Matteo telefonò al resposnabile perché erano state cambiate le chiavi del locale. Da lontano, Matteo ha sentito: “chi è?” ed in risposta: “quel frocio del gruppo xx”, confondendo transessualità con omosessualità (o leggendo nel pensiero perché in effetti, chi chiamava è si trans ma anche “frocio” :D).
Certo la Destra ha un passato chiaramente omotransfobico, ma non è che fosse facile, negli anni 70 tanto cari a FB entrare in una sede del PCI (ma anche di Lotta Comunista, di Potere Operaio, dei Katanga, ecc) presentandosi come gay, come lesbica o, peggio ancora, come trans.
Dobbiamo riscrivere le nostre priorità guardando in basso o dietro di noi (in realtà sarebbe un guardare “alto” e “avanti”), tra la “nostra gente”. Ricordandoci che esistiamo come “rappresentanza di interessi legittimi” e non come entità politiche.
E’ l’ora di dire: “chi ci sta?” e federarsi e chi vuole restare fuori, giochi pure le sue carte, siano ruffiane con il potere, siano antagoniste ad ogni costo.
Auspico che il progetto di Federazione prenda corpo davvero dentro Arcigay, in primis. Noi ci saremo. Noi lo chiediamo da anni e tu, Sergio, lo sai.
Mirella Izzo
presidente AzioneTrans
Caro Guido, il movimento parla con più voci, e questo va bene. Il problema si pone quando nel coro qualcuno stona o decide deliberatamente di cambiare tonalità per farsi notare. Io credo nel percorso avviato di costruzione di una Federazione Lgbt italiana ricordato qui da Mirella: questo potrà essere un vero strumento di rinnovamento. So già che non ne faranno parte alcune frange antagoniste che individuano sempre il peggior nemico nel proprio prossimo. Se non ne faranno parte anche realtà come Dgp mi sembrerà un’occasione sprecata.
Parlo in confidenza sul blog di Sergio, sperando che possa essere una chiacchierata tra tutti.
Penso che conoscete Imma da più anni del sottoscritto, ed è da una vita che Imma parla di trasversalità. Negli anni passati si parlava appunto di “diritti umani” che devono essere patrimonio culturale di tutti.
Poi il contesto politico è ormai mutato: la sinistra non siede più in parlamento, il PD ha ottenuto un risultato modesto, ed è tutta l’Italia che ha impresso una svolta decisa, omosessuali compresi. Il risultato delle amministrative di Roma è la cartina di tornasole di tutto questo. E questo nuovo contesto non mi sembra temporaneo (ahimè).
Davanti a tutto questo che facciamo? Nella mia lettera a Rossana, chiedevo proprio questo: se non tentiamo la strada della trasversalità quale alternativa? Non ho avuto risposta.
Quindi, non prendiamo le esternazioni stampa come delirio autoreferenziale, ma come presa di posizione verso un movimento che invece va da tutt’altra parte. Mi si creda quando dico che non è un cambiare tonalità per farsi notare.
Guido chiede a chi giovano tutte queste esternazioni? Purtroppo la comunicazione politica, soprattutto verso chi ha il compito di legiferare, ha le sue regole. E visto che non abbiamo come movimento, un luogo dove poter trovare democraticamente una sintesi collettiva, ognuno fa la voce grossa.Non è quindi una questione di delirio narcisistico. Altrimenti dovrei pensare che tutti quelli che prima o poi dirigono le associazioni siano dei matti: Imma, Aurelio, Rossana, Fabrizio Marrazzo, Sergio stesso, ecc..
Una mia speranza è che Arcigay, si renda conto di quale strada deve intraprendere per il futuro. Per me una federazione nazionale deve essere il futuro, ma devono essere chiare le linee strategiche e l’identità stessa di movimento. Questo dobbiamo avere in comune: identità e strategia. Una volta condiviso cosa vuol dire essere persone omosessuali e transessuali nel 2008, quali sono i nostri bisogni, allora si avrà anche una strategia adatta ai diversi contesti politici. Sembra banale, ma identità e strategia non sono affatto condivise tra molti di noi.
Senza questo, diventa la solita richiesta di unità che non ha speranza.
Marco, hai ragione a dire che manca il luogo della sintesi e che questo è un elemento di debolezza del movimento. Lo hanno scritto qui in forma diversa anche Guido e Mirella. Ma se vogliamo andare in quella direzione bisogna avere tutti e tutte grande senso di responsabilità. Io non contesto,anzi per certa misura condivido, quella che tu chiami trasversalità. Il riferimento di chi pretenda di dare una forma organizzata di rappresentanza alla comunità lgbt non può che essere quello di una sorta di confederazione sindacale che tratti con chiunque abbia la dignità e la funzione di interlocutore per conseguire alcuni obiettivi. Non in forma corporativa ma, com’è nella migliore tradizione sindacale italiana, avendo in mente l’idea di un paese più giusto.
La questione che io ho posto riguarda il modo con cui si mette sul piatto la propria disponibilità ad un rapporto con il centrodestra: un tentativo di delegittimazione pubblica delle altre associazioni (vedi la polemica con Merlo) accusate di “vittimismo gay” e, soprattutto, questo incomprensibile ed odioso ripetere che in Italia non esistono discriminazioni. E’ un linea che rischia di mettere DGP in rotta di collisione non solo con la gran parte del movimento italiano ma anche con quella più vasta comunità lgbt che non sta nelle associazioni e a cui la vostra associazione dice da sempre di fare riferimento. Verrebbe da dire, come Talleyrand (o forse era Boulay) di fronte all’esecuzione del duca d’Enghien: è peggio di un delitto, è un errore.
Caro Sergio,
consentimi una divagazione retorica e personale. Io mi ricordo la prima volta che ti ho conosciuto. Tu presidente di Arcigay, io di una piccola ass.ne genovese chiamata Crisalide, ad una conferenza a Genova. Dio quanto ti ho rotto le scatole sulla strategia GLBT contro il predominio della sola politica gay. Chissà se ricordi. Io però ricordo che Arcigay, negli anni successivi, ha cambiato radicalmente atteggiamento verso la realtà transgender. Mi piace pensare che sia stato ancche un poco merito mio, dei miei pungoli, della mia rompicoglionaggine, se mi è consentito. Detto questo, vorrei rispondere a Marco, in un certo senso per tranquillizzarlo, almeno per una parte di quel movimento che vorrà riunirsi in “federazione” con connotazioni prevalentemente “sindacali” (altra questione su cui Sergio ed io, nei nostri rispettivi blog, abbiamo parlato all’unisono, senza esserci sentiti preventivamente). Ebbene, Marco, io credo che esista già una base comune forte, sia in strategia, sia in identità. Una base formatasi negli anni scorsi e proseguita, forse senza annunci clamorosi, ma attraverso un dialogo fitto, necessariamente, in primis, interno. Prima di aprirsi pubblicamente ad un discorso di “Federazione” è scontato che Arcigay o qualunque altra Associazione, abbia già verificato, nel lavoro comune, una base solidale in strategia, almeno fra una ass.ne gay, una lesbica ed una transgender. Certo l’auspicio è che possa essere una federazione più ampia, ma, se Imma è in buona fede, non dispero in un riavvicinamento futuro di DiGayProject (e di altre ass.ni). Anche io fui d’accordo con lei sulla trasversalità, ma non posso accettare le sue ultime dichiarazioni di “stato di normalità”… non io che presiedo un’ass.ne trans.. e anche DiGayProject si dichiara LGBT.. per cui a volte Imma dovrebbe parlare pensando a tutte le “categorie”… Ed in ogni caso ‘sta normalità (a Roma poi!) non so dove la veda…
Smettendo di divagare, io credo, Marco, che davvero nei mesi prossimi, forse in un anno o due al massimo, possa esservi una strategia comune fra le più rappresentative associazioni LGBTQI italiane. Notoriamente considerata una Cassandra, in questo caso invece, sono ottimista. Ce la si può fare. Ce la si deve fare ancora di più, di fronte alla deriva massimalista che rischia di invadere il movimento.
IMHO
Mirella Izzo
mi sono permessa di linkare dal mio blog, questo topic, per invitare anche i miei pochi lettori a partecipare alla discussione.
Abbracci
Mirella
Francamente, ho letto e riletto l’articolo di Merlo, ma non ho trovato nulla che possa essere apostrofato con gli aggettivi spesi da Lo Giudice in questa sua nota:
“Francesco Merlo, firma di punta del nostro quotidiano più laico, ha attaccato frontalmente Arcigay per le proteste contro il vergognoso oscuramento della presenza di una famiglia omosessuale – Domenico, Pierrick e il piccolo Ethan – sull’aereo esploso a Madrid. E l’ha fatto con un accanimento e un astio che la dice lunga su quanta omofobia permanga anche nella parte più progressista della nostra intellighenzia”.
Al contrario, nell’articolo di Merlo ho letto frasi come questa: “Non lasceremo Arcigay mai sola nelle sue battaglie contro le odiose discriminazioni”. La polemica mi sembra invece indirizzata verso uno stile, un modo di agire che vede discriminazioni dappertutto, perfino in quotidiani che le battaglie gay le hanno sposate da sempre, contribuendo molto alla loro diffusione.
Personalmente, quando ho letto sul solo Corriere della sera la notizia della coppia gay con figlio deceduta nel rogo all’aeroporto di Madrid, ho pensato a uno scoop di quella testata. Repubblica ha “bucato” la notizia, che in effetti c’era tutta (il Corriere non è un giornalaccio di gossip), non per le ragioni che adduce Merlo, ma perché c’è stato un lavoro più approfondito da parte del corrispondente del Corriere. Tutto qui. L’irritata risposta alle accuse di Arcigay, firmata Francesco Merlo, nasce dalla durezza con cui Arcigay ha aggredito a sua volta quel “buco”, che non è di Repubblica, si badi, ma di tutte le testate, senza tenere conto delle dinamiche regnanti nelle redazioni (e di cui ne so qualcosa dal momento che ci lavoro da 20 anni), per cui se una testata concorrente dà un “buco” a tutte le altre, la reazione è fare finta che la notizia non ci sia, o sminuirla. Quando possibile. Arcigay avrebbe quindi perso un’importante occasione di tacere? Sì e no. Bastava esprimere un più pacato rammarico. Ma altrettanto pacata avrebbe potuto essere la risposta di Merlo. Invece no.
A ben guardare, infatti, Merlo si scaglia su questi soggetti:
1) contro il Corriere, che ha commesso il presunto “errore” di pubblicare la notizia facendo fare una brutta figura a Repubblica
2) contro il “criptoleghismo razzista”, secondo cui un cittadino del Sud è capace di realizzarsi solo fuori dalla sua terra
3) contro il neofondamentalismo cristiano “alla Buttiglione”, che rischia di essere imitato, con idee opposte, proprio da alcuni dei suoi più forti detrattori.
Arcigay è una creatura della sinistra, impossibile che provenga da lì la sua denigrazione. Il nome tirato in ballo da Merlo è piuttosto quello di Grillini: “Abbiamo, insomma, il fondato sospetto che l’onorevole Grillini sia – proprio lui – l’ossessionato dall’omofobia. È lui ad avere bisogno, sempre e comunque, del nemico per le sue usurate battaglie…”.
Usurate battaglie. Come candidato sindaco di Roma, anche se ha preso pochi voti, Grillini ha dato una bella mano nello screditare Rutelli e a dissolvere quanto resta dello spirito unitario della sinistra dopo l’avvento di Veltroni, nonché a colpire il potenziale elettorato del Pd. Grillini dà fastidio, lo odiano per la sua coerenza laica.
In attesa di capire come intenda muoversi Arcigay in mezzo a un interlocutore politico da sempre privilegiato e ora alquanto “volatile”, spuntano le Imma Battaglia convinte di possedere a destra una credibilità non concessa nemmeno a gaylib in tanti anni di lavoro e di contatti seri. Più in generale, mi sembra che la crisi del movimento gay genererà crescenti fenomeni di attaccamento agli spazi ludici, dove il businness, non i diritti, hanno un logo fondamentale.
Roberto Schena