Un mio contributo pubblicato oggi dall’Huffington Post
Di cosa parliamo quando parliamo di genere
Anche il Senato, come già la Camera, ha ratificato la Convenzione di Istanbul. Un atto di importanza storica: si tratta del primo strumento internazionale giuridicamente vincolante contro la violenza alle donne.
Fra gli aspetti più innovativi della Convenzione c’é una definizione del concetto di genere, termine che suscita pregiudizi e timori e che qui trova una descrizione condivisa fra gli Stati d’Europa.
Si legge all’art.3: “Con il termine ‘genere’ ci si riferisce a modi, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una società considera appropriati per donne e uomini”. Genere come costruzione sociale e culturale, un concetto distinto da quello di sesso biologico.
L’art.4 riserva un’altra sorpresa. L’attuazione della Convenzione “deve essere garantita senza alcuna discriminazione fondata su sesso, genere, razza, colore, lingua, religione, opinioni politiche o di qualsiasi tipo, origine nazionale o sociale, appartenenza ad una minoranza nazionale, censo, nascita, orientamento sessuale, identità di genere, età, condizioni di salute, disabilità, stato civile, status di migrante o di rifugiato o qualsiasi altra condizione.”
A sesso (biologico) e genere (costruzione culturale e sociale) si affianca l’identità di genere, la percezione individuale della propria appartenenza ad un genere al di là del sesso di nascita. Per la prima volta l’identità di genere appare in una legge dello Stato: un buon viatico per l’approvazione della legge contro le discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere che aspetta da vent’anni di essere varata.
ALLEGATO
La convenzione di Istambul (PDF)
FONTE
Il Fatto Quotidiano