Ieri è stata una giornata drammatica e triste. Il nome di Romano Prodi poteva non soddisfare pienamente tutti per diversi motivi, ma avrebbe rappresentato per l’Italia una guida autorevole e riconosciuta. Un profilo in grado di relazionarsi da pari con qualunque autorità internazionale e di parlare al paese incarnandone i principi migliori.
Non è certo un caso se il resto del centrosinistra aveva aderito compatto alla proposta di Bersani e se fra gli iscritti al M5S il nome di Prodi si era posizionato nella rosa dei dieci preferiti.
Io avevo manifestato sin dall’inizio la mia preferenza per Stefano Rodotà, per la carica di maggiore innovazione che quel nome, nonostante l’età, rappresentava. Per la sua costante esplorazione dei confini del diritto e dei diritti lo giudico la persona più adatta ad incarnare lo spirito di una Costituzione programmatica non ancora del tutto realizzata.
Ho votato Rodotà alla prima votazione nonostante l’indicazione contraria del mio partito.
Avevo deciso di non votare Franco Marini non per la persona, di cui non condivido in particolare la rigidità sul tema dei diritti civili ma a cui riconosco una storia importante a sostegno dei lavoratori, ma per il sapore inevitabile di un compromesso politico col centrodestra che quella scelta, e il modo in cui era emersa, portava con sé. L’ho fatto alla luce del sole, dichiarandolo prima, dopo avere votato con voto palese contro quella proposta approvata dall’assemblea del centrosinistra col consenso effettivo di meno della metà dei grandi elettori.
L’ho fatto insieme alla gran parte degli eletti nella mia Regione e di molti altri parlamentari Pd, col consenso del mio segretario provinciale e di quello regionale e, soprattutto, sapendo di interpretare una fortissima opposizione a quella scelta da parte della totalità delle persone che aveva scelto di votarmi oltre che per una mia convinzione profondissima sui danni che quella decisione avrebbe prodotto.
Mi sono trovato ad esercitare quel principio di libertà di coscienza che spesso era stato utilizzato come un’arma impropria per negare i diritti di altre persone e imporre loro i propri principi confessionali e che in questa occasione ha avuto come motivazione fondante il timore per i destini del paese. In questa occasione, sullo statuto del Pd che impone di adeguarsi a un voto a maggioranza degli organismi dirigenti (maggioranza che in questo caso era solo relativa) ha prevalso lo spirito dell’art.67 della Costituzione: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato” che garantisce la libertà del parlamentare di agire in piena libertà per il bene del paese. Per me non è stato facile alzare la mano in assemblea contro la proposta del mio segretario nazionale, che stimo e a cui voglio bene. Ma l’ho fatto perché ognuno deve assumersi a viso aperto le proprie responsabilità. Con la stessa responsabilità, dopo avere votato tre volte Rodotà mentre il Pd votava scheda bianca, ho scritto sulla scheda il nome di Romano Prodi dopo che i gruppi parlamentari del Pd avevano deciso, all’unanimità, di sostenerlo.
Quello che è accaduto dopo è un fatto del tutto diverso e di una gravità straordinaria. Un centinaio di parlamentari Pd, che avevano alzato la mano in mattinata con gli altri per approvare la candidatura di Prodi, nel segreto dell’urna ha deciso, in gran parte all’interno di reti organizzate, di affossare quel nome, la credibilità residua del Pd e la possibilità di dare presto all’Italia una guida sicura. “Uno su quattro ha tradito” ha tuonato ieri sera Pier Luigi Bersani annunciando le sue dimissioni non appena sarà eletto il nuovo Presidente.
Ora davanti a noi ci sono due compiti della massima importanza. Il primo e più urgente è di superare la palude in cui ci troviamo ed eleggere un buon capo dello stato. Per la votazione di questa mattina l’indicazione del Pd è di votare scheda bianca. Anche questa volta, nell’attesa che il Pd definisca una proposta, darò il mio voto a Stefano Rodotà, non solo come segno di omaggio verso chi sarebbe il mio candidato ideale ma per ribadire che quella rimane ancora una possibilità aperta. So bene che dentro il Pd non tutti condividono le mie valutazioni e preferiscono per diverse ragioni profili diversi, per cui non mi faccio particolari illusioni che su Rodotà si possa effettivamente spostare la maggioranza del parlamento , ma spero che tutti riflettano una volta di più su questa opportunità che, se realizzata, potrebbe forse dare il via a quel governo del cambiamento che abbiamo perseguito nelle scorse settimane.
Il secondo compito , quello del giorno dopo, sarà di rifare da capo un partito democratico fondato su un nuovo rapporto fra chi ne fa parte e assume le decisioni e chi quelle scelte è chiamato a realizzare. Ma questo è un impegno per il dopo: ora è il momento di concentrarci sul compito che ci attende nelle prossime ore.
pure io apprezzo Rodotà, ma se alla decisione della magg. del PD dici NO che partito è, che ci sta a fare il SEGRETARIO e il Gruppo Dirigente?