La vicenda era complicata, e i giornali non l’hanno spiegata bene, ma alla fine la querelle sul piercing in Emilia Romagna ha segnato un punto a favore dei contrari al divieto.
I fatti. Nel 2002 una circolare ministeriale “sconsigliava” il piercing in alcune zone considerate più a rischio di complicanze: genitali, lingua, capezzoli. La maggioranza di centrodestra, allora al governo di Bologna, introdusse nel regolamento d’igiene il divieto di praticare tatuaggi e piercing “su parti anatomiche la cui funzionalità potrebbe essere compromessa da tali trattamenti (palpebre, seno, lingua, genitali, ecc.)”. Nel 2007, la Regione Emilia Romagna – come altre regioni italiane – decise di dare un valore vincolante a questo divieto approvando, col consenso di tutti i partiti del centrosinistra, una delibera di giunta che recita: “Non si possono eseguire tatuaggi o piercing in parti anatomiche nelle quali sono possibili conseguenze invalidanti permanenti o in parti in cui la cicatrizzazione è particolarmente difficoltosa (ad esempio tatuaggio esteso alla totalità del corpo, piercing sull’apparato genitale, sulle palpebre o sul capezzolo)”.
Tutto questo avveniva nella distrazione di tanti e nel totale silenzio della stampa. Solo prima dell’estate la questione è balzata all’attenzione dell’opinione pubblica, in occasione dell’approvazione del primo regolamento del comune di Bologna su “estetisti, tatuatori e piercing”. In quella sede, io stesso ho chiesto ragione di un articolo del nuovo regolamento che, senza entrare nel merito dei casi specifici, vieta tatuaggi e piercing “su parti anatomiche la cui funzionalità potrebbe essere compromessa da tali trattamenti”. Fin qui niente di strano:è lo stesso codice civile che vieta interventi che possano provocare una “diminuzione permanente della integrità fisica”. Ma da qui a comprendere nel divierto, come vorrebbe la delibera regionale, un piercing al capezzolo o ai genitali ce ne vuole. Così, sentiti alcuni operatori, che mi hanno confermato come gli interventi più a rischio siano altri (sopracciglio, ombelico, cartilagine dell’orecchio) e con il supporto dei due medici presenti in consiglio comunale, il prof. Giuseppe Pinelli e il prof. Corrado Melega, ho messo a punto una richiesta alla Regione di modifica delle sue linee guida. L’ordine del giorno, votato a stragrande maggioranza dal Consiglio comunale di Bologna lunedì scorso, invita la Regione Emilia Romagna:
– a definire secondo criteri scientifici e statistici quali piercing vadano considerati a rischio;
– a subordinare alla formazione professionale l’effettuazione dei piercing di quel tipo:
– a garantire comunque l’effettuazione dei piercing più complessi da parte di personale medico;
– a modificare in questo senso le linee guida regionali;
– ad effettuare periodici controlli igienico-sanitari sulle attività di tatuaggio e piercing.
Insomma, il Comune di Bologna ha chiesto alla regione di abolire il divieto e di sostituirlo con azioni che garantiscano a chi, maggiorenne, voglia sottoporsi ad un piercing che ciò avvenga nel massimo controllo sanitario e da parte di operatori formati. La parola è alla Regione: noi vigileremo affinché l’appello di Bologna non cada nel vuoto.
Sergio Lo Giudice
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Be”h, comunque è normale regolamentare i tatuaggi. Ho sentito l’anno scorso con le mie orecchie un aspirante tatuatore abusivo raccontare che senza nessuna esperienza nel campo stava per aprire un centro tatuaggi, dopo aver stampato un falso diploma giapponese copiato da Internet. Insomma, non è medicina, ma comunque ne va della salute della gente…