Una riflessione sulle prospettive del movimento lgbt dopo le elezioni
Il 14 aprile ha stravolto il panorama politico. Una nuova destra è al governo. La
Il rapporto fra il movimento e la politica si è incrinato nel febbraio 2006. L’esclusione dei Pacs dal programma dell’Unione, dopo cinque mesi dalla promessa pubblica di Prodi, ha chiuso una fase in cui le principali associazioni, a partire da Arcigay e
La capacità di mobilitazione lgbt, confermata anche dopo l’exploit del World Pride, i crescenti consensi sui Pacs registrati dai sondaggi, l’adesione a quella proposta dei principali leader della sinistra, avevano lasciato pensare che l’obiettivo potesse essere raggiungibile.
Il mancato conseguimento di quel risultato ha prodotto uno stato di conflitto con il centrosinistra e una nuova strategia, basata su tre assi fondamentali:
1. la richiesta chiara e netta della piena uguaglianza giuridica e sociale: “pari dignità, pari diritti”;
2. l’abbandono, da parte delle associazioni, di un ruolo di intermediazione fra le istanze della comunità e la ragion politica;
3. la centralità di un’
Questo era stato il contesto dell’accordo unitario del movimento Lgbt del gennaio0 2007 e questo il senso del Congresso di Arcigay dello stesso anno.
Di questi obiettivi, solo il primo è stato realizzato, attraverso una ridefinizione unitaria della piattaforma del movimento.
Il secondo non ha prodotto i risultati sperati. La costruzione di un ruolo nuovo delle associazioni non ha comportato, come avrebbe dovuto, l’assunzione di un profilo più fortemente autonomo, di tipo sindacale, ma la ricerca, spesso disordinata e confusa, di nuovi referenti partitici e in alcuni casi uno slittamento su posizioni di sterile antagonismo.
Tutto ciò ha fatto perdere di vista il terzo e più importante obiettivo: la costruzione di un più ampio consenso nella società, con il rischio di isolamento dall’opinione pubblica, dalla politica, dalle persone lgbt.
A quadro ancora cambiato, o si cambia passo anche noi o si rischia l’implosione. Che fare? Io la vedo così:
1. “Uguale dignità, uguali diritti” è la nostra mission, da cui non si torna indietro. Questa parola d’ordine va valorizzata nel suo significato ideale ma va anche fatta vivere nelle sue articolazioni concrete. Dobbiamo costruire mille occasioni per spiegare le ragioni del matrimonio fra persone dello stesso sesso, quali sono le dimensioni della genitorialità
2. Non dobbiamo solo fare conoscere i nostri obiettivi, ma soprattutto lavorare alla costruzione del consenso: questo è un obiettivo prioritario. Evitiamo tentazioni autoreferenziali utili a dare sfogo alla nostra legittima indignazione ma spesso dannosi rispetto all’obiettivo di un maggior favore sociale. Questo vale anche e soprattutto per le occasioni di massima visibilità del movimento, cioè i Pride.
3. Va ridefinito il rapporto fra movimento e forze politiche. Il mantra “distinti e distanti” genera ambiguità, non tanto per il “distinti” (le associazioni lgbt lo sono sempre state, eccezion fatta per il Fuori di trent’anni fa e per qualche gruppo esplicitamente di partito), quanto per il “distanti”, su cui si giocano pericolosi equivoci. Distanti non può significare indifferenti e disattenti a quanto avviene nel quadro della politica. Né può significare distanti da alcuni e vicini ad altri (leggi ferocemente ostili con il Pd e embedded con la
4. Dobbiamo riuscire a distinguere la funzione delle associazioni da quella di chi, essendo parte della comunità lgbt, svolge un ruolo politico dentro le istituzioni e i partiti. Il movimento deve poter fare conto su persone fidate che dentro i partiti come nelle amministrazioni locali o nel Parlamento costruiscano i percorsi necessari perché atti amministrativi, buone pratiche e riforme legislative vedano la luce. È tanto più necessario se, a differenza di quanto è accaduto negli anni scorsi, le associazioni decidono di non giocare più esse stesse questo ruolo. Anche qui va marcata una forte e coerente distinzione, accompagnata da una reciproca legittimazione.
5. Infine, il compito più gravoso e irrinunciabile: lavorare al consolidamento dei legami effettivi /affettivi con una comunità lgbt che si sente assai poco rappresentata (e anche assai poco comunità). Un compito che non è slegato da tutto il resto. O le associazioni sapranno accreditarsi come strumento efficace e non ideologico per il miglioramento della vita delle persone che pretendono di rappresentare oppure rischiano la marginalizzazione da una base sociale che parla un altro linguaggio.
Caro Sergio,
non sai quanto condivido la tua riflessione.
E’ necessario che noi, essendo gli unici, oggi, in grado di farlo, e aggiungo: purtroppo, ci facciamo carico di questa fase, con coraggio. Coraggio non solo verso l’esterno, ma verso l’interno.
Abbiamo bisogno di ritrovare i legami, i link, con il movimento da una parte e con la comunità dall’altra.
Abbiamo bisogno di gentilezza e fermezza e di costruire il consenso con il coraggio di chiedere tutto, ma distruggendo i pregiudizi nei nostri confronti.
Ti abbracccio.
Gentilezza e fermezza: mi sembra una buona accoppiata, che ha funzionato anche con la tua lettera ad Alemanno ( http://www.repubblica.it/2008/05/sezioni/politica/alemanno-lettera/alemanno-lettera/alemanno-lettera.html ).
Non rinunciare a nessuna delle nostre istanze, anzi rivendicarle fino in fondo, comprese le più difficili e le meno popolari, ma affilando ed affinando le armi della comunicazione con chi è meno convinto per portarlo dalla nostra parte, cioè dalla parte della ragione.
Condivido solo in parte questa analisi, soprattutto riguardo l’avvicinamento al PD.
Non che non sia d’accordo ma credo che le associazioni dovrebbero smetterla di ‘avere refrenti politici’. Non è servito in passato e non servirà in futuro.
La realtà è che la destra ha stravinto, la sinistra ci ha tradito o pugnalato se preferite e poi ha perso.
Non ci resta altro da fare allora che cominciare il dialogo con chi ha vinto e cioè la maggioranza senza la quale non si va da nessuna parte, cercando all’interno del PdL quelle figure laiche che possano farsi carico delle nostre istanze. Nel contempo fare lo stesso anche con il PD.
In poche parole le associazioni gay farebbero bene a non essere in alcun modo orientate politicamente ma sarebbe ora che cominciassero ad occuparsi dei problemi concreti degli omosessuali, cosa che finora non hanno fatto.
Qualche esempio tanto per non far restare il mio discorso sul vago.
Chi ci pensa ai gay anziani o malati?
Le nostre associazioni fino ad ora hanno fatto quasi esclusivamente politica e visto i risultati con molto successo direi, infatti siamo nella m… più di prima.
Nel contempo, mentre i vari Grillini pensavano al cadreghino, i gay si ammalavano di AIDS e non c’è un solo locale affiliato Arcigay che metta a disposizione i profilattici come accade all’estero. Una volta te ne davano uno, adesso non ti danno nemmeno quello e se lo chiedi alcuni te lo fanno pure pagare. Così il povero gay finisce col sganciare i soldi di tessera+ingresso+condom mentre all’estero ci si limita a pagare il solo ingresso e non esiste la tessera ma in compenso esistono i distributori di preservativi a GRATIS!!!
I gay invecchiano e sono abbandonati a sè stessi o costretti ad andare negli ospizi gestiti dalle brave suorine e costretti a sorbirsi giaculatorie, rosari, vespri e messe varie nelle occasioni più disparate.
Alcuni ragazzi commettono l’errore di dire in famiglia che sono froci e comincia l’incubo aggravato dalla consapevolezza di non sapere dove andare nè come sostentarsi perchè da noi non esistono centri di accoglienza per questi disgraziati.
Intanto i gay, quelli più fortunati o ancora giovani continuano a pagare tessera+ingresso+condom.
Per fortuna per i malati di AIDS c’è la LILA perchè se aspettiamo le varie Arcigay, Gaylib, Gaycaioesempronio ecc. ecc. stiamo belli freschi.
Insomma quando un gay ha qualche problema le nostre associazioni, non sempre è vero ma quasi, brillano per la loro assenza occupate a far mantenere il cadreghino ai vari Grillini che in tre o quattro legislature non so bene non sono riusciti a cavare un ragno dal buco.
Smettiamola quindi per favore di occuparci di politica e pensiamo un poco di più al sociale, forse è la volta buona che riusciremo ad ottenere qualcosa.
Dare un’attenzione privilegiata alla costruzione di servizi per la comunità e relazionarsi da sindacato con tutte le forze politiche: su questi punti di fondo siamo d’accordo. Non condivido il ritratto a senso unico che fai delle associazioni, anche se è vero che c’è ancora tanto da fare.
L’analisi non è male, Sergio, ma io resto convinto che il movimento Lgbt italiano, il meno efficace del mondo occidentale, per incidere debba prendere a modello i movimenti Lgbt di quelle società occidentali (europee e nord americane) che hanno perseguito e ottenuto la parità dei diritti.
Occorre porre le basi di una cultura diversa, la cultura Lgbt. Il Pride è senza dubbio il momento di maggiore visibilità, ma occorrono molti altri momenti, sia culturali che vertenzial-politici. Ossia happening, conferenze, fondazioni, tavole rotonde, libri, documentari, film, concorsi, premi, manifestazioni – possibilmente dinanzi al Parlamento nazionale – su specifici punti. Si potrebbe cominciare con il richiedere una legge contro la discriminazione omofobica sul lavoro e a scuola, poi inasprire le sanzioni per chi commette violenze fisiche con la motivazione dell’omofobia. Poi l’adozione ai single, quindi una legge sulle unioni civili che preveda per lo meno i diritti economici. IL CUS può essere un punto di partenza, e forse d’arrivo in questa legislatura.
La costruzione del consenso è una bella frase, ma occorre vederne i contenuti. Come pensi di costruire il consenso?
Bada poi che il tema delle case di riposo laiche specificatamente rivolto a un mercato di gay anziani è una cosa davvero molto importante. Se vuoi ti posso mettere in contatto con uno dei principali imprenditori del settore, per il quale ho lavorato a Roma due anni fa. Sarebbe ben contento di lavorare in partneriato, secondo me.
Sergio!
Mi piace la tua analisi. Arriva, ovviamente, dal tuo punto di vista, ma secondo me non ha una pecca. Poi, ovviamente, i problemi sono di più, ma ognuno può dare un contributo dal proprio vissuto e dalla propria esperienza. In questo momento siamo un po’ come dei giocolieri con tantissime palle che volano e non sappiamo mai quale è quella di piombo!
Mi ha colpito il commento di Annellidifumo, che propone delle cose che sono già state fatte e allora mi chiedo, anche come attivista di Arcigay: non è che ce le siamo contate troppo tra di noi e le cose che abbiamo fatto sono state poco percepite?
Temo che il lavoro da fare è tanto e anch’io partirei nonsolo dalle esperienze nostre, ma anche da quelle altrui: non essendo italiano dico da tanto tempo che dobbiamo imparare anche dagli altri, seppur accettando che la situazione italiana e tutta particolare!
Saluti
Anellidifumo, le tue obiezioni sono esattamente nello spirito di quello che io stesso sostengo. Noi dobbiamo essere incisivi e radicali, ma sul nostro specifico. Non dobbiamo inseguire, come movimento, appartenenze ideologiche e politiche differenti da quelle del movimento internazionale lgbt. Chi sa dire a quale partito politico fanno riferimento movimenti come Greenpeace o Amnesty International? Eppure, senza essere riconducibili alla sinistra antagonista, esprimono una visione forte e radicale nel loro specifico (l’ambiente, i diritti umani) che ne fanno movimenti riconoscibili e ammirati ma, contemporaneamente, trasversali e quindi appetibili a 360 gradi. Poi, certo, sono più simpatici a sinistra e i loro referenti politici quando si tratta di approvare una legge sull’ambiente sui diritti saranno -perlomeno in Italia – di sinistra, ma questo non significa che loro non si rivolgano all’intera società e all’intero quadro politico.
Riguardo al consenso, occorre moltiplicare quelle cose lì: convegni, iniziative, informazione. Ma mi riferisco anche ad un approccio mentale. Credo che ogni volta che costruiamo un’iniziativa pubblica dobbiamo porci come obiettivo quello di convincere più persone possibile a stare dalla nostra parte. Non sempre lo facciamo.
Bert, mi fa piacere che tu condivida le mie parole. Io e te sappiamo quante cose concrete ha fatto e sta facendo Arcigay, ma sempre di più si avverte uno scollamento con una comunità larga che non ci conosce o non si riconosce. Per questo dico che anche rispetto alla nostra base occorre seminare ancora.
Caro Sergio,
condivido il tuo punto di vista e credo che ora più che mai sia il momento di insistere, insistere, insistere. Per questo concordo su un punto fondamentale che tu citi: costruzione del consenso.
Credo che un grande appuntamento nazionale come il gaypride sia importantissimo, ma non bisogna dimenticare che per noi “gaypride” deve essere ogni giorno e ovunque, nella quotidianeità, nella vita. Ci vuole coraggio ed impegno, ma solo questo può preparare la strada ad un futuro di “normalità”.
Penso ad esempio ad iniziative finalizzate alla diffusione della cultura GLBT, come qualcuno diceva sopra, ma soprattutto a momenti di confronto aperto, dibattito, discussione.
Penso, ad esempio, ad una maggior capillarità sul territorio, una sorta di solidarietà con chi è costretto a vivere isolato dalle comunità GLBT maggiori, chi deve nascondersi, chi non può mostrarsi se non a costo di perdere tutto. Penso a possibili gaypride nelle città più piccole o di provincia, luoghi in cui l’associazionismo non è sicuramente presente come nei grossi centri, luoghi in cui la maggior parte delle persone non ha la minima percezione di cosa sia l’omosessualità al di fuori dei soliti stereotipi negativi.
Credo sia necessario sfruttare ogni minimo spazio, ogni possibile occasione di espressione, sia individualmente che a livello di movimento, anche quando ci sembra umiliante e frustrante affrontare certe questioni che consideriamo banali, scontate, superate.
Il livello della discussione è putroppo molto basso, la tendenza alla strumentalizzazione fortissima, ed è per questo che bisogna dichiarare guerra mediatica (con i nostri umili mezzi…) a messaggi come “la famiglia naturale” e simili.
Portiamo la nostra esperienza come il più bel manifesto di normalità, facciamo conoscere agli Italiani quelle famiglie omosessuali che già esistono nel nostro paese e non hanno intenzione di chiedere il permesso di esistere, ma rivendicano diritti. Gaypride ogni giorno, gay pride ovunque.
Scusate se abuso di questa possibilità, ma vorrei congratularmi con Cristiana Alicata per la lettera inviata ad Alemanno. E’ di questo tipo di iniziative che abbiamo bisogno, e per questo la ringrazio e la appoggio.
Bert, ma naturalmente so che alcune delle cose che ho elencate sono state organizzate, da AG o da altre associazioni Lgbt.
Occorre organizzare quelle che mancano e dare maggiore forza e struttura e visibilità a quelle che già esistono. Faccio un solo esempio paradigmatico: in Italia che io sappia c’è solo un premio per tesi di laurea/dottorato che abbiano a che fare con i Gender Studies, e lo organizza il DGP di Roma. Ma vi pare possibile? Noi abbiamo bisogno come il pane di ricerca, cattedre, insegnamenti, libri che leggano la società attraverso le lenti degli studi di genere. E’ una cosa sola, potrei dirne altre 50.
E ribadisco: cominciare ad affrontare il tema della vecchiaia dei gay. Perché ora che il movimento c’è e che ci sono i gay, quelli tra loro che avranno la fortuna di morire di vecchiaia, arriveranno alla vecchiaia in solitudine, se non hanno amici/parenti che si prendano cura di loro.
Elfobruno ha scritto cose sagge riguardo alla necessità dei lustrini al Pride: http://www.elfobruno.ilcannocchiale.it/comments/1898965
In realtà ci sono tante cose che accadono sul territorio. Una delle cose a cui Erika pensa, delle manifestazioni nazionali nelle piccole città, si terrà il prossimo 17 maggio a Treviso, dove Gentilini aveva invocato la pulizia etnica contro i culattoni. E andate a a guardare su http://www.omofobia.it/iniziative/2008/index.html quante iniziative ci saranno in giro per l’Italia il 17 maggio, giornata contro l’omofobia.
Anellidifumo ha citato il premio, meritorio, di DGP. E’ l’unico oggi nel suo genere (fino a qualche anno fa lo faceva anche il Cassero), ma ci sono altre cose interessanti: l’Università di Bologna, in collaborazione con Arcigay, Arcilesbica e MIT,ha prodotto nei mesi scorsi il primo corso di alta formazione (post laurea) su Welfare e cittadinanza lgbt; a Firenze qualche mese fa si è tenuto un affollato corso di formazione per avvocati sulle unioni gay (ce ne sarà un altro a Bologna in ottobre). Tanto si fa, tantissimo c’è da fare.
Caro Sergio, condivido quasi totalmente la tua analisi anche se mi discosto leggermente dal punto 3) (rapporto movimento e politica).
Condivido il fatto che il movimento, dopo la delusione e la sconfitta del centro-sinistra, rischia di isolarsi e slittare su posizioni sempre più marginali. Quindi il dialogo con il PD va portato avanti. Ma non vi deve essere un rapporto di esclusività nel dialogo; prima o poi bisogna aprire anche un confronto con il centro-destra. Consapevoli ovviamente di chi abbiamo di fronte e di cosa chiediamo.
Certamente con la Sinistra Arcobaleno sarò su un certo livello di discussione e rivendicazione.
Con il Pd dovrò avere un altro livello di confronto, sapendo che alcune posizioni interne del partito sono più chiuse e intransigenti.
Con il centro-destra, il dialogo è tutto da inventare e costruire; il discorso con loro non è ancora rivendicativo, ma quanto meno deve essere culturale per iniziare a far saltare fuori le contraddizioni.
Ecco, rimaniamo fermi nei nostri obietti “Uguale dignità, uguali diritti” (lo slogan è assolutamente efficace), consapevoli che dobbiamo guardarci intorno a 360° diversificando la tipologia di dialogo a seconda dell’interlocutore politico o sociale.
Il movimento lgbt non deve fare una battaglia “di una minoranza per una minoranza”, ma al contrario una battaglia “di una maggioranza per una maggioranza”, perché le parole d’ordine Parità Dignità Laicità non devono appartenere solo alle persone omosessuali ma dovrebbero essere patrimonio di tutti.
Sono d’accordo con l’osservazione di Marco: il rapporto con il centrodestra deve essere tenuto aperto. Questo vale senza dubbio con le istituzioni, a partire dal governo, a cui non dobbiamo mancare di chiedere una risposta alle nostre istanze. Dobbiamo provare a farlo – sempre nell’ottica di un movimento autonomo e fermo nelle proprie richieste di uguaglianza – anche con i partiti di centrodestra, anche se su questo punto sono molto pessimista data l’aria che tira. A condizione però – ma questo vale anche nel rapporto con la sinistra – di non abbassare il livello delle nostre richieste e ad evitare strumentalizzazioni. Quanto accaduto a Maurizia Paradiso che implorava l’attenzione della Lega sulle questioni gay ed è stata allontanata in malo modo dai body guard di Bossi è l’emblema del rischio che si corre a cercare il favore di chi ti disprezza.
Aggiungo che mi riconosco nella lettera aperta che alcune associazioni hanno inviato al nuovo sindaco di Roma Gianni Alemanno.
http://www.digayproject.org/Home/lettera_aperta.php?c=1139&m=9&l=it
Mio caro Lo Giudice sorvolerò sulla mancanza di autocritica. Sorvolerò sul fatto che lei non ritiene di dovere ammettere che la strategia che avete adottato per anni sia stata disastrosa e che forse la colpa é un pò anche vostra. Sorvolerò sulla mancanza di Scuse; sull’assenza di una qualunque ammissione di responsabilità personale e collettiva nel disastro attuale. Sorvolerò sul punto 3, su cui é intervenuto del resto Marco Belfiore, in cui lei ripropone tra le righe la vecchia strategia di appiattimento sulla sinistra. come nulla fosse.
Mio caro Lo giudice lei scrive che le associazioni: ‘rischiano la marginalizzazione da una base sociale che parla un altro linguaggio’….Rischiano? Rischiano? Mio caro Lo Giudice ma la marginalizzazione c’é da anni. anni. Io vivo all’estero e la vedo. Lei dove vive? (Forse in una piccola bolla fatta di gente che si commenta i blog a vicenda dicendosi: ‘ condivido in pieno!’; ‘Bravo!’;’Mi piace la tua analisi!’) Il 90% dei Gay Italiani si taglierebbero le vene prima di essere accumunati con, per esempio, l’ArciGay. E hanno ragione.
Non ho molto tempo ora e la lettera di Sergio meriterebbe di più. Quel che posso dire, fuori dai denti, è che il movimento è spaccato tra due fazioni fondamentali (poi ci sono all’interno ulteriori differenze, ma questa è quella che davvero rende quasi impraticabile la collaborazione fra l’una e l’altra parte, anche se fino ad ora ha vinto il compromesso, purtroppo, aggiungo). Una parte del movimento considera le associazioni come dei “sindacati”. Anche alcune che avevano agganci politici, li hanno smessi perché hanno capito che noi abbiamo , come ass.ni senza scopo di lucro, un’UTENZA che chiede diritti. Noi li dobbiamo presentare a chiunque governi. L’altra parte di movimento ritiene invece che il movimento Lgbt debba essere politicamente schierato (spesso nella sinistra antagonista) e fare delle istanze specifiche che interessano chi rappresentiamo, un trampolino di lancio verso alrre politiche più generali e di stampo antagonista.
Sappiamo bene.. almeno chi ci vive dentro… chi sta da una parte e chi dall’altra. Sia chiaro che chi pensa al movimento come ad una sorta di sindacato (che fa anche altro, come primo ascolto, auto aiuto ecc), non vuole isolarsi dal mondo, ma semmai allargare la questione lgbt alla questione “laicità dello stato” e dei “Diritti Civili” tout court. Dall’altra parte invece è presente un progetto politico che vede nelle persone LGBT un soggetto politico antagonista. Tra le Ass.ni Trans, ad esempio, AzioneTrans è rimasta la sola a concepirsi come sindacato e tra le ass.ni gay e lesbiche.. beh.. non sta a me dirlo… Il caso recente della sospensione a Roma di chi ha firmato la lettera ad Alemanno per conto di Arcilesbica, la dice lunga sul fatto che alcune ass.ni nn hanno ancora risolto questo dilemma. Altre hanno preferito farlo (come noi) a costo di diaspore dolorosissime. Io penso che sarebbe l’ora di guardarsi negli occhi e comprendere che NON esiste un movimento Lgbt in Italia, ma due. Uno, analogo a quello di quasi tuttigli altri paesi europei e USA, svincolato da una ideologia generale, l’altro che “utilizza” la questione trans lesbo e gay come strumento per portare l’attacco antagonista al cuore del sistema capitalista.
Non sto difendendo il capitalismo ma credo che se voglio fare politica antagonista, la faccio, come trans, in un partito o movimento antagonista e non piego una onlus o una no profit a logiche ideologiche (mi si scusi la cacofonia). Quindi: io sto con te, Sergio. Chi altri? Chi altri come associazioni, intendo.
Baci e buona discussione.
Mirella Izzo
presidente nazionale AzioneTrans
Nello scusarmi per il pessimo italiano delle ultime righe del mio precedente post… aggiungo una cosa che ho dimenticato. Se esistono due separati “movimenti” che si contendono la leadership (quello antagonista e quello sindacale, per semplificare), invece che pensare ad una “unità” che ogni anno di più sta attaccata con il chewing gum, perché non avviare un processo di unione fra quelle ass.ni che si riconoscono e da tempo sulle tue posizioni? L’esempio poltico dell’Unione” non ci insegna niente? Inutile tenere insieme chi è troppo diverso, ma perché non unire le forze tra chi, fra le ass.ni gay, lesbiche, trans ecc, ha una stessa visione di sé e del proprio ruolo da svolgere? Lo chiedo ad esempio ad Arcigay ed anche ad ArciLesbica.. ma non solo…
Mirella Izzo
AzioneTrans
Mirella ha fatto riferimento a un obiettivo che mi sta molto a cuore e che ripeto da tempo, anche se forse in forma un po’ diversa. Io credo fortemente all’unità di tutto il movimento lgbt, soprattutto in una fase come questa in cui esiste una parola d’ordine comune. Sono però altrettanto convinto che vada accelerato il processo di federazione fra quelle associazioni che condividono non solo l’obiettivo finale ma anche una strategia basata sulla costruzione paziente delle condizioni necessarie e non su un antagonismo inefficace . Io credo che se ci si iniziasse a lavorare credendo nel risultato, si potrebbero mettere da parte alcune differenze, anche importanti, e costruire una casa comune delle persone lgbt.
Caro Sergio,
non è che poi io sia così distante dal tuo progetto. Forse i miei toni sono più diretti nell’analizzare quanto vedo oggi. La legge 164 che consente la transizione sessuale venne approvata anche grazie al di allora MSI, ma le sue motivazioni erano mooolto diverse da chi l’aveva proposta (radicali e socialisti)… Per l’MSI era una mera questione di “ordine pubblico” da risolvere. Voglio dire che avere stesso obbiettivo da raggiungere non significa automaticamente avere “idem sentire” (una delle poche espressioni uscite dalla bocca di Bossi che mi piace, anzi l’unica).
Ciò detto, io credo tu abbia ragione nel supporre che proprio l’unità fra le Ass.ni che condividono non solo l’obbiettivo, ma anche il percorso e le modalità, possa dar impulso ad una riduzione delle attuali differenze. Proprio l’unità delle Ass.ni che la pensano “allo stesso modo” (o quasi, ma esiste una dialettica ovunque per fortuna) può coagulare il movimento in due aree che non si litigano ogni secondo su ogni piccola cosa e per motivi spesso, lasciamelo dire, davvero di potere (quale poi….)
Il punto è che di questa “federazione” ormai si parla da anni… ma un solo passo concreto devo ancora vederlo. Come AzioneTrans, nel nostro primo documento politico, qualcosa abbiamo messo nero su bianco… ma ci vuole qualcosa di più e soprattutto sapere quali e quante ass.ni abbiano questo “idem sentire”. Mi chiedo se quanto sta accadendo a Roma in ArciLesbica, vada nella direzione auspicata.
Il tempo è maestro, dicono… Vedremo
Mirella Izzo
AzioneTrans