Una linea ‘ufficiale’ del partito, sulle unioni civili e, in particolare, sulla stepchild adoption. E’ su questo binario che si inserisce la battaglia dell’ala laica del Pd per l’approvazione dell’art.5 del ddl, relativo all’adozione del figlio del partner. Il punto, infatti, continua a dividere sia il Pd, sia la maggioranza. Tanto che il leader di Ap Angelino Alfano, se da un lato esclude le unioni civili dal patto di governo, dall’altro avverte su possibili ripercussioni di un ok alla legge con una maggioranza Pd-M5S-Sel: “c’è il rischio che la palla di neve diventi una slavina. Spero che il Pd trovi un equilibrio”. Un punto di caduta, a poco più di due settimane dal termine per la presentazione degli emendamenti, resta però lontano. In questo senso potrebbero rivelarsi decisive sia l’assemblea del gruppo dei senatori, possibile già la prossima settimana, sia la Direzione del 18 gennaio dove, sebbene non sia all’ordine del giorno, il dibattito sulle unioni civili quasi certamente emergerà. “Sarebbe un bene che su questo la Direzione di pronunci”, è l’augurio del portavoce di Retedem Sergio Lo Giudice. I nodi sul ddl, conferma un esponente della minoranza Pd, in Direzione verranno posti. L’obiettivo, da parte dei laici Dem, è quello di avere un’indicazione chiara del partito, aldilà della previsione – più volte sottolineata da Matteo Renzi – del voto secondo coscienza. La strategia del laici del Pd, al momento, conta sulla sponda della vicesegretaria Debora Serracchiani, che non nasconde la sua preferenza per la stepchild e sottolinea: la legge va fatta, anche con i voti di M5S e Sel. I laici possono contare anche sul sottosegretario Benedetto Della Vedova, che sottolinea: “la stepchild è una scelta seria, il Parlamento decida senza vincoli”. Di tutt’altro avviso restano i Cattodem. Il gruppo, piuttosto eterogeneo e con al suo interno una cospicua componente renziana, presto presenterà l’emendamento per sostituire l’adozione con l’affido rafforzato: al momento le firme, assicurano, sono di “oltre 25” senatori ma i parlamentari pronti a sostenerlo sono di più, dice Rosa Maria Di Giorgi sottolineando che “la stepchild non è una mediazione”. Il punto cruciale, per Di Giorgi e gli cattolici del Pd, è che non deve esserci un voto della direzione, perché questo vanificherebbe la libertà di coscienza. “Se non c’è disponibilità a lavorare ancora, è evidente che andremo in Aula e ci conteremo”, avverte Di Giorgi. Aula dove la conta si preannuncia meno scontata di quanto sembri: il fronte del ‘no’ alle adozioni è vasto (e include anche Sc, come ribadito oggi da Enrico Zanetti) e, al Senato, ha la sua ‘punta dell’iceberg’ in Ap, in trincea sia contro la stepchild adoption sia contro l’affido. Alfano , su questo, non è disposto a fare sconti: “L’affido rafforzato, per come si sta configurando, se non è zuppa è pan bagnato. Noi non ci stiamo”, scandisce infatti il titolare del Viminale, facendosi portavoce di una battaglia ‘identitaria’ di Ap. Una battaglia che vede centristi e sinistra Pd su due sponde opposte e che, tra l’altro, si presenta ancor più delicata, inserendosi alla vigilia delle amministrative. E, proprio guardando al voto di giugno, Alfano, in una lettera a La Repubblica questa mattina sottolineava: “non intendiamo partecipare alle primarie del Pd né tanto meno aderire ad alleanze in cui ci sia Sel” ma la “sinistra Pd non ci usi come pretesto” per aprire una crisi di governo. Parole che la maggioranza Pd derubrica come segno dell’imminente campagna elettorale ma che ‘accendono’ la minoranza Dem. Alfano “lascia intuire che per lui la soluzione migliore sarebbe una spaccatura del Pd con la sinistra che se ne va. Lasci perdere”, avverte Gianni Cuperlo. E Miguel Gotor punge: “Alfano teme di essere abbandonato da Renzi, suo nuove protettore politico”.

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