Voterò con convinzione Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica. Se ognuno di noi grandi elettori potesse determinare in autonomia il nome del capo dello Stato verrebbero fuori cento o forse mille nomi diversi. Il mio sarebbe ancora quello di Stefano Rodotà, che sarebbe stato (lo è già nella cultura italiana) il vero garante della bellezza della nostra Costituzione, dei suoi valori fondanti di uguaglianza e libertà, del suo intreccio dinamico con i principi dei diritto europeo.

Oppure quello di Romano Prodi, il protagonista di una stagione di governo del centrosinistra interrotta per i vizi del centrosinistra stesso, ma capace di innestare nel dna del paese l’importanza della dimensione europea, la centralità della formazione, la necessità di superamento di uno statalismo ruffiano e assistenzialista.

Tuttavia la proposta di Mattarella è forte e convincente. È un profondo conoscitore della Costituzione, ed anche se l’attuale Consulta, quella di cui fa parte insieme a Giuliano Amato, non si è sempre distinta per il coraggio dell’innovazione nella lettura delle norme costituzionali, la sua competenza sarà molto utile a tenere la barra dritta in un momento in cui sono in campo riforme costituzionali radicali e ancora controverse.

È un cattolico, e questo in sé non dovrebbe importare se non per il fatto che spesso nella politica italiana questo significa un tradimento del carattere laico delle istituzioni. Non è il suo caso. Come tanti altri “cattolici adulti”, da De Gasperi a Moro, da Scalfaro a Prodi, Mattarella ha ben chiara la distinzione fra la propria fede e la laicità della politica. Ne è prova il fastidio dei leader catto-integralisti di Ncd e di Cl, da Alfano a Lupi, per questa candidatura.

È un candidato “NN”, “Non Nazareno”, secondo l’auspicio di Pippo Civati, nel senso che non nasce da un patto a due fra Renzi e Berlusconi, ma da una proposta che Renzi sa essere unificante per i democratici (in senso lato) e che potrebbe ben essere accolta anche dal centrodestra, se non fosse per la schiena dritta dimostrata dal nostro quando si dimise da Ministro per non votare la legge Mammí sulle concessioni televisive a Fininvest.

Un unico peccato (veniale) ai miei occhi: quello di avere definito “volgare” il concerto di Madonna a Roma nel 1990. Ma erano altri tempi, se nella stessa occasione un ancor giovane Walter Veltroni poteva affermare, a difesa del rock, che “per i giovani è molto più pericoloso Jovanotti che Mick Jagger” . Tempi andati, se lo stesso Veltroni nel 2008 avrebbe scelto proprio un pezzo di Jovanotti, “Mi fido di te”, come inno del suo Pd.

Articolo pubblicato sull’Huffington Post

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