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Chi non conosce quella bella espressione con cui Oscar Wilde definiva l’omosessualità: “l’amore che non osa dire il suo nome”? Ebbene, oggi che in tanti oseremmo dirlo, rischiamo di non trovare le parole per comunicarlo, tanto di rischiare di parafrasare la tragica denuncia di Wilde con un più autistico “l’amore che non riesce a dire il suo nome”.

All’inizio ce la cavavamo con un semplice “gay”. Gay Pride, movimento gay, cultura gay. Poi, giustamente, ci si rese conto che quel nome, così breve e accattivante, così “notiziabile” e “titolabile” non dava conto della complessità di un movimento fatto non solo da maschi ma anche da donne, non solo da gay e lesbiche ma anche da bisessuali, non solo persone non eterosessuali ma anche persone con un’identità di genere fuori statistica: transessuali, transgender, intersessuati (che una volta sarebbero stati poeticamente chiamati ermafroditi, ma oggi, molto più prosaicamente, chiedono si riconosca la loro particolare condizione e, soprattutto, che si metta fine alla pratica dell’attribuzione chirurgica arbitraria ad uno o all’altro genere sui bambin*). Così, a poco a poco, sulla scia di quanto stava accadendo negli altri paesi europei, anche in Italia si iniziò a utilizzare prima la sigla Glbt e, poco dopo, la sigla internazionale: Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali e transgender) . Non più Gay Pride ma Lgbt Pride, non più cultura gay e lesbica ma cultura Lgbt, non più movimento omosessuale e transessuale, ma movimento Lgbt. Questo ha provocato e provoca una certa difficoltà di comunicazione. Ricordo una troupe di Gay.tv ad un congresso nazionale dei Ds a Milano, chiedere invano ai partecipanti cosa significasse Lgbt: nessuno degli intervistati ne aveva idea. Altri sulla stampa scambiano Lgbt per l’ennesima associazione di movimento. La quasi totalità di chi scrive o parla di noi continua a non utilizzare e a schivare quell’impronunciabile acronimo. Sta a noi, quindi, se vogliamo essere riconoscibili attraverso quella sigla, cercare il modo per renderla più familiare, nonostante la pronuncia ostica.

Invece no. Ogni associazione, gruppo o comitato organizzatore continua ad utilizzare le più diverse varianti di quella sigla, a marcare una differente collocazione nell’arcipelago delle identità sessuali o solo a pensare, con i migliori intenti, che in quella sigla debba trovare spazio ogni sfaccettatura, salvo poi affettuare a discrezione le selezioni più estemporanee. È giusto, certo, non irrigidirsi dietro una sigla e proseguire con l’analisi sul genere, sulla sessualità, sulle identità, così come è sacrosanto dare visibilità e dignità alle differenze presenti in un movimento variegato come il nostro. Ma le parole sono convenzioni che creiamo per comunicare: non potremmo provare a battezzare una sigla e comunicarla all’esterno, assumendo consapevolmente come male necessario un suo tasso di genericità ed incompletezza? Non è già chiedere troppo alla società, alla politica, alla stampa, di mandare a memoria quell’ Lgbt che non ha eguali nella lingua italiana in quanto a difficoltà? Pare di no. Basta pensare ai Pride degli ultimi anni per comprendere come seminiamo i nostri interlocutori cambiando nome con la stessa velocità con cui Arturo Brachetti cambia costume.

Nel 2008 Il Catania Pride 2008 era GLBT mentre il Bologna Pride era LGBT (ma nel 2005 era stato LGBTQ). Nel 2001 il Pride milanese era GLTQ, alla faccia dei bisex, nel 2002 GLTB (da notare il posizionamento creativo della B finale), nel 2003 LGT nel logo, GLT nel manifesto. Nel 2004 GLBT (la B rientra e scatta in avanti) e nel 2005 – udite, udite – GLTB nel logo, LGBT nel manifesto, LGBTQ nei comunicati di Arcigay Milano. Il comitato organizzatore, manco a dirlo, si definiva LGT. Va da sé che nella ricca rassegna stampa della manifestazione non un giornalista usa altra sigla che non sia “Gay Pride”. Forse anche per questo da tre anni i pragmatici milanesi si son tolti dall’imbarazzo chiamando la parata Christopher Street Day. Il Genova Pride del 2009, invece, si chiamerà LGBTQI, dove la Q sta per queer e la I per intersessuati.

Su wikipedia c’è un’interessante panoramica delle possibili varianti, che potremmo utilizzare per il 2009 e il 2010: “Quando i transgender non sono inclusi nel riferimento, il termine viene abbreviato in LGB. Si potrebbero, inoltre, aggiungere due Q per Queer e Questioning (qualche volta abbreviato con un punto interrogativo) (LGBTQ, LGBTQQ); altre varianti sono diventate LGBU, dove U sta per Unsure (insicuro), e LGBTI dove I sta per Intersex; un’altra variante è T per Transessuale (LGBTT), un’altra è T (o TS o il numero 2) per persone con Two-Spirit (due spiriti), e una A per straight Allies (LGBTA). Una sua forma completa è LGBTTTIQQA, sebbene sia molto raro”. Ci credo, che è molto raro: è assolutamente impronunciabile. Allora , che fare? Potremmo seguire il consiglio della rivista Anything That Moves, che ha inventato la sigla FABGLITTER (Fetish, Allies, Bisexual, Gay, Lesbian, Intersex, Transgender, Transexual, Engendering Revolution) che perlomeno ha il pregio di essere memorizzabile e evocare favolose scintille. Oppure ci accordiamo per parlare una lingua comune che, in attesa di un’idea migliore, potrebbe forse essere quella utilizzata in quasi tutto il mondo: vedi alla voce LGBT. Forse prima o poi riusciremo a farla imparare a qualcuno.

Ps. Aggiornamenti 2010. E’ stata diffusa da Queer in action un nota in cui si fa riferimento ad una rassegna LGBTQI. Nell’intestazione della mail si fa riferimento ad una rassegna di cinema GLBTQI,  nella mail si parla di una rassegna GLBQI. Nel Pd è nato un gruppo dal nome Forum LGBTE . l Pride di Milano di quest’anno si chiama TLGB. Quello di Napoli LGBTQI, ma l’iniziativa connessa di Arcilesbica si chiama Zone LGBTQ. Nella piattaforma del Pride si parla però di movimento LGBT. Se cerchi su google Napoli Pride , la prima notizia che appare dice: Napoli Pride 2010 – Manifestazione nazionale GLBTQI.

Il Pride di Roma ha  appena cambiato nome, da LGBTQI a LGBTIQ . Il collettivo TILGBQ Sui Generis  e l’associazione LGBTEIQ Roma Rainbow Choir hanno annunciato che non parteciperanno: forse non si riconoscevano nella sigla…

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