Il disegno di legge che inasprisce le pene per il traffico di organi approvato oggi in Senato ci dota di uno strumento normativo in più per affrontare un problema che non possiamo più pensare che non ci riguardi.
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità tra i 63.000 reni trapiantati ogni anno, quasi il 10% viene procurato in modo illegale nei paesi poveri. Da quando le nuove terapie anti rigetto hanno reso più facili i trapianti, soprattutto di reni, si è sviluppato, a partire dall’India, un mercato illegale di organi che sfrutta la miseria dei donatori. Da allora altri paesi con forti sacche di povertà, dal Sudafrica al Brasile, sono stati investiti da questo osceno fenomeno.

Il caso della Cina è quello più inquietante. Dal 1984, la legge sull’espianto coatto di organi dai detenuti giustiziati – che dovrebbe avere cessato i suoi effetti con l’inizio del 2015 – ha tenuto elevatissimo il numero dei trapianti, più di 10.000 l’anno, con il fondato sospetto che la possibilità di rivenderne gli organi tenesse a sua volta più elevato il numero dei condannati a morte. Ma questo numero era rimasto abnorme rispetto agli standard degli altri paesi anche a fronte di una diminuzione accertata delle esecuzioni. Solo dal 2006 é nato il sospetto che in Cina potesse accadere qualcosa di ancor più terribile. Già dal 1999, il presidente della Repubblica Popolare Cinese Jiang Zemin aveva dato avvio ad una violenta campagna di sradicamento del Falun Gong, una pratica spirituale tradizionale molto popolare, con arresti di massa degli aderenti. Il sospetto che le persone arrestate potessero essere sottoposte ad espianto del rene da vivi o essere uccise per poterne trapiantare gli organi si è trasformato in un serio allarme internazionale tanto da provocare la presa di posizione dll’ONU. La Commissione contro la tortura delle Nazioni Unite ha espresso preoccupazione per le accuse di espianto coatto di organi dai detenuti e ha invitato il governo della Repubblica popolare cinese ad aumentare il livello di rendicontabilità e trasparenza del sistema di trapianto di organi.

La persecuzione dei membri del Falun Gong è stato oggetto di una discussione in Commissione diritti umani del Senato il 19 dicembre 2013 alla presenza di David Matas, candidato al premio Nobel per la pace nel 2010, e di rappresentanti dell’associazione italiana Falun Dafa. Pochi giorni prima , il 12 dicembre il Parlamento europeo aveva approvato una risoluzione di denuncia e condanna della pratica di espianto da prigionieri di coscienza non consenzienti. La Commissione diritti umani del Senato ha approvato a sua volta, il 5 marzo 2014, una risoluzione sull’espianto di organi da detenuti in Cina.

Ma oggi è un’altra e più vicina la geografia dell’orrore. Il Mediterraneo, a partire dall’Egitto, sembra essere diventato il centro globale del traffico di organi. I profughi che si muovono spinti dalla disperazione da Eritrea, Sudan, Somalia e Mali pagano a volte con l’espianto di un rene il costo della migrazione verso l’Europa o verso Israele ai trafficanti sudanesi. Giappone, Israele, Canada, Taiwan, Stati Uniti Arabia Saudita ed anche l’Italia sono i paesi da cui arriva la richiesta. Le indagini sugli sbarchi di Lampedusa hanno portato all’arresto di cinque cittadini eritrei a Roma. La magistratura italiana sta indagando su un traffico di migranti a cui sarebbero stati chiesti gli organi per coprire i costi del viaggio. Nel giugno 2013 Tauber Gedalya, un israeliano su cui pendeva un mandato di cattura internazionale emesso dal Brasile per traffico di organi umani, è stato arrestato all’aeroporto di Fiumicino.

C’è poi un altro luogo a noi vicino in questa mappa dell’orrore. A Danfuss, nell’est Ucraina, sono stati trovati in fosse comuni cadaveri privi di organi interni. Si ripete forse quello che era accaduto già nell’ex Jugoslavia, in particolare nel conflitto in Kossovo, dove, a quanto risulta, é accaduto che albanesi prelevassero ai prigionieri serbi gli organi interni per rivenderli in Europa.

Il disegno di legge, che adesso passerà alla Camera per la seconda lettura, fornirà alla nostra magistratura un nuovo strumento per aggredire il fenomeno. Speriamo che serva anche a tenere alta l’attenzione pubblica su una pratica meno lontana di quel che si pensava.

Articolo pubblicato sull’Huffington Post

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