Domenica 17 aprile i cittadini italiani saranno chiamati a pronunciarsi riguardo un referendum popolare, promosso da nove regioni, sull’estrazione degli idrocarburi in mare. (In sostanza questo) Il quesito referendario propone che non vengano rinnovate le concessioni già in essere agli impianti di trivellazione entro le 12 miglia marine. Non propone perciò, come erroneamente si crede, che siano smantellati nell’immediato impianti esistenti, né che si impedisca l’apertura di nuovi impianti oltre le 12 miglia.
Riportare il tutto ad un dato di realtà è senz’altro utile al Paese e alla politica che deve ricostruire il patto di fiducia con i cittadini. Una buona politica deve saper cogliere i segni dei tempi che vive, deve intuire i cambiamenti e le sfide future, ma deve anche saper parlare al Paese spiegando le sue scelte e strategie: gli elettori devono avere perciò tutti gli elementi di valutazione utili per esercitare il loro diritto di voto.

Le ragioni del NO. La transizione da energia prodotta da fonti fossili ad energia prodotta da fonti rinnovabili sarà inevitabilmente lunga, con tempistiche differenti nei diversi ambiti di applicazione. Potrebbe essere realizzabile in pochi decenni per quanto riguarda la produzione di energia elettrica, ma certamente non sarà così per l’energia necessaria per i mezzi di trasporto, soprattutto aerei e marittimi. Per questo, visto che per almeno altri 40-50 anni avremmo bisogno di combustibili fossili, la cosa migliore sarebbe produrne di più in casa nostra e importarne di meno dall’estero, riducendo la nostra dipendenza da Paesi instabili e non democratici.
Il petrolio non è solo fonte di energia, è necessario per produrre plastica e bitume, solo per fare alcuni esempi, e ad oggi non vi sono materie prime capaci di sostituire il petrolio per questi usi. Anche per questo dovremmo essere capaci di ridurre il consumo di petrolio per fabbricare energia, e destinarlo alla produzione di materiale derivato, solo dove non sostituibile. Questo significa comunque che un importante investimento va fatto nella ricerca di nuovi materiali.

Le ragioni del SÌ. Delle 69 concessioni totali per la ricerca e l’estrazione degli idrocarburi presenti in Italia, solo 26 sono attualmente operative entro 12 miglia dalla costa e dunque interessate del quesito referendario. Se vincesse il SI queste verrebbero smaltite alla scadenza prevista dalle concessioni, avendo tutto il tempo necessario per pianificare il loro legale ricollocamento oltre le 12 miglia e la riconversione del personale coinvolto. Diversamente senza una data certa la ripianificazione di queste risorse potrebbe diventare oggetto di diversi interessi. E’ evidente che una volta chiuse nessun soggetto esterno potrebbe usufruire dei relativi eventuali giacimenti, ricadendo questi nelle acque territoriali con esplicito divieto di nuove trivelle. Inoltre la vittoria del SI sarebbe interpretata come una chiara espressione della volontà popolare a sostegno dell’impegno del governo a supporto della ricerca di innovative tecnologie per la reale riconversione delle politiche energetiche nazionali verso uno sviluppo sostenibile.

Il quesito pone l’attenzione sul concetto di concessione: la concessione riguarda un bene appartenente allo Stato, e quindi un bene comune, e per questo deve avere un termine chiaro e perentorio: se non si pone una scadenza certa alla concessione di quel bene, questa si trasforma un’alienazione, che priva la comunità di qualcosa a favore di pochi, minando tra l’altro, anche i criteri con cui erano state messe a bando

ReteDem crede che sia maturo il tempo per iniziare a ripensare il rapporto tra fabbisogno di materia prima e energia, concetti che vanno tenuti distinti per quanto affini: per entrambi vige il supporto alla decisione di governo di investire nella ricerca di nuove tecnologie. Riteniamo indispensabile che si apra una nuova stagione che veda lo Stato e le Regioni protagonisti in questa impegnativa sfida e non antagonisti. Che veda lo Stato e le regioni affrontare questa sfida impegnativa non da antagonisti, ma collaborando insieme.

Questo referendum è stato votato da 9 consigli regionali, quasi la metà del totale delle regioni italiane di cui quasi tutti a guida del centrosinistra, soprattutto perché riguarda i beni naturali e paesaggistici che costituiscono la base dell’economia di moltissime regioni italiane. Ignorarlo significa non tenere conto della volontà direttamente espressa dai territori.

ReteDem ritiene che le coste italiane siano una risorsa economica imprescindibile e vadano preservate da ogni speculazione o interesse privato. Dedicare a questo settore la parte di mare più vicina alle coste vuol dire saper coniugare interessi economici e ambientali. Il mare è un bene di tutti, volerne sfruttare la ricchezza deve significare soprattutto tutelarne il patrimonio ambientale.

Il compito di un partito politico dovrebbe essere quello di stimolare il dibattito e il confronto, non di invitare all’astensionismo. Come Partito Democratico il nostro compito è quello di contribuire alla formazione della coscienza civile degli italiani invitandoli a informarsi e a confrontare la diverse posizioni.

Come ReteDem, in prevalenza propensi a votare sì, lasciamo libertà di voto. Allo stesso modo chiediamo che il nostro Partito promuova occasioni di confronto e dibattito affinché cittadini consapevoli possano, nel rispetto dell’istituto referendario e delle opinioni di tutti, scegliere liberamente contribuendo in maniera proficua al progresso del Paese.

Coordinamento nazionale ReteDem

Padova, 2 aprile 2016

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