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Il pessimo spettacolo di ieri sul voto mancato a Romano Prodi ha segnato un punto zero nel progetto del Partito Democratico.
Il Pd per colpa di alcuni ma per una responsabilità collettiva a cui nessuno può sottrarsi, si é mostrato al paese come un insieme di correnti , e questo é legittimo, incapace di fare sintesi per il bene del paese, e questo é inaccettabile.
Una soluzione allo stallo post elettorale si é rivelata contraria alle leggi della fisica. Il Pd raccoglie dentro di sé diverse anime che stanno attorno a un baricentro faticosamente individuato. Per eleggere un presidente della Repubblica, in mancanza di numeri autosufficienti, il baricentro avrebbe dovuto spostarsi a sinistra o a destra ma questo non si é mostrato possibile. Io, insieme ad altre decine di grandi elettori del PD, ho dato per tre volte il mio voto a Rodotà (non l’ho fatto nella votazione per Romano Prodi che, in quanto padre nobile in grado potenzialmente di fare il pieno nel Pd, avrebbe rappresentato l’unica via di uscita all’impasse). Ma Rodotà non ha avuto e non ha in questo parlamento il consenso necessario. Bisogna dire con franchezza che se oggi si fosse deciso di puntare sul suo nome il risultato sarebbe stato peggiore di quello di Prodi e in una sfida fra Rodotà e Cancellieri ci saremmo ritrovati il ministro come presidente. Lo dico con amarezza perché Rodotà era il mio candidato ideale, ma con la consapevolezza degli effettivi rapporti numerici. La politica ha dovuto alzare le mani: lo stallo non é stato risolto e il nostro segretario ha già annunciato le sue dimissioni.

Al prossimo congresso del partito la riflessione dovrà essere reale, anche a costo di scelte dolorose. La nave del Pd potrà ripartire solo se butta in acqua un po’ di zavorra.
Ma oggi c’è da risolvere un tema istituzionale di primaria importanza, quello dell’elezione del capo dello Stato, e l’unico sbocco praticabile di una strada tortuosa e segnata da errori si é rivelata quella di Giorgio Napolitano. Anch’io oggi l’ho votato, per la responsabilità istituzionale che sento di dovere a un paese che ha bisogno di colmare presto il vuoto di potere per trovare soluzioni alla crisi economica e sociale.

Rimane aperto il tema del governo: starà al presidente eletto individuare una soluzione che sappia unire alla responsabilità il cambiamento o sciogliere il parlamento, ora che può.

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