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Francesca Mambro avrebbe concluso la sua pena nel 2013, dopo 31 anni dalla condanna a nove ergastoli e 84 anni di reclusione. Pochi giorni fa è tornata in libertà per decisione di un giudice di sorveglianza, che valutati i criteri del caso (durata della condanna, tempo di permanenza in carcere, condotta processuale, relazione degli educatori ecc.) decide in base alle leggi. Era successo lo stesso, già alcuni anni fa, al suo complice e compagno Giusva Fioravanti ed entrambi, comunque, godevano già da anni della semilibertà (la Mambro dal 1999), tanto da partecipare – così i due dichiararono allora – al World Pride del 2000 a Roma. Quella partecipazione è stata ricordata in questi giorni dalla principale organizzatrice di quell’evento, Imma Battaglia, che ha motivato così la sua solidarietà alla Mambro di fronte al moto di indignazione che ha  accompagnato la decisione del Tribunale di sorveglianza di Roma che, a 36 anni dal suo 96° omicidio e dal suo arresto, l’ha resa una donna libera.

Provo imbarazzo per la decisione di legare la solidarietà all’ex terrorista dei NAR alla sua partecipazione ad un gay pride, quasi che fosse un atto dovuto da parte del movimento lgbt rendere il favore. Provo fastidio a pensare che questa solidarietà si collochi in una serie bisettimanale di riconoscimenti che la presidente di DGP tributa agli esponenti della destra a partire dal giorno dell’ascesa di Alemanno al Campidoglio. Considero fortemente motivata la rabbia dell’associazione dei familiari delle vittime della strage del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna, che uccise 85 delle 96 vittime della folle violenza di Francesca Mambro: perché le connivenze fra i mandanti del terrore, servizi segreti e esponenti di primo piano delle istituzioni statali sono state occultate, depistate, coperte dal segreto di Stato fino a rendere impossibile una ricostruzione precisa di quegli eventi.

Credo però che se su Francesca Mambro pesa una responsabilità enorme ed indicibile, non è su di lei che debba poggiarsi il peso di un’altra responsabilità: quella di un paese malato, incapace di democrazia, costantemente tentato dall’affidarsi a questo o quel potere forte, non importa quanto lecito, che non riesce a ottenere giustizia perché si lascia guidare da persone ingiuste.  Mambro e Fioravanti sono stati giudicati e puniti con le leggi dello Stato. Tramite le stesse leggi hanno ottenuto benefici che non sono previsti solo per i reati più lievi ma anche per quelli più gravi. Oggi si sta facendo strada l’idea che la legge Gozzini sui benefici carcerari vada rivista, perché la pena va scontata in carcere fino in fondo. Credo che la richiesta di quella che viene definita la “certezza della pena”, sia del tutto condivisibile, se significa svolgimento dei processi in tempi rapidi, uguaglianza di tutti (premier compreso) di fronte alla legge, un sistema che consenta di scontare la pena prima che il reato vada in prescrizione. Non condivido, invece, la richiesta che gli anni comminati vadano scontati tutti in carcere. Questa richiesta è sbagliata proprio rispetto alle premesse da cui nasce, ridurre l’impatto del crimine sulla società, perché le misure alternative alla detenzione consentono un reinserimento altrimenti impossibile. Se questo vale, deve valere anche per Francesca Mambro.

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