Ieri ha preso il via la discussione pubblica della proposta di legge su “Pari opportunità e contro le discriminazioni” della Regione Emilia Romagna. Il testo, presentato in marzo in Commissione Affari Generali, è stato oggetto di una Udienza conoscitiva delle associazioni e delle forze sindacali. C’erano tante associazioni femminili, l’Ufficio Nuovi Diritti della Cgil, la Uil, le Consigliere di Parità. C’erano anche le associazioni Lgbt (Arcigay, Arcilesbica, Mit, Agedo) oltre a Matteo Bonini Baraldi in qualità di esperto ed io stesso come presidente della Commissione per i diritti e le pari opportunità di lesbiche, gay, bisessuali e transgender.
L’impianto della legge è buono anche se migliorabile, tant’è che abbiamo presentato numerosi emendamenti. C’è però una mancanza grave che dovrà essere risolta: non c’è infatti nessun riferimento all’identità di genere. Soprattutto su questo punto abbiamo richiamato l’attenzione della Commissione, chiedendo che la legge non parta creando lei stessa una discriminazione sui soggetti da tutelare.
Quella della formula “identità di genere” è una questione aperta che pone diversi interrogativi. L’Europa è intervenuta più volte a tutela dei diritti delle persone transessuali, a partire dalla Raccomandazione dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa n. 1117 del 1989 che ha invitato gli stati membri ad emanare norme che vietino ladiscriminazione delle persone transessuali. Tuttavia le istituzioni europee non utilizzano mai l’espressione “identità di genere” e preferiscono considerare i diritti delle persone transessuali come diritti di genere, tutelate perciò dalla legislazione sulle pari opportunità fra uomo e donna, come fa la Direttiva 54 del 2006 che richiama il pronunciamento della Corte di Giustizia secondo cui “il principio della parità di trattamento tra uomini e donne” “si applica anche alle discriminazioni derivanti da un cambiamento di sesso”.
Le stesse associazioni trans si interrogano sull’utilizzo corretto di questa espressione (basta parlare di identità di genere per descrivere la condizione delle persone transessuali e transgender o non si dovrebbe piuttosto parlare di disforia di genere? ).
Fatto sta che il concetto di “identità di genere” riferito alle persone trans ha già illustri precedenti in Italia. È nel titolo della Legge 63/2004 della Regione Toscana, così come in quello della proposta di legge stralcio del governo Prodi su omofobia e stalking (firmato da Barbara Pollastrini, ma anche da Fioroni, Bindi e persino Mastella) e, infine, nel testo unificato approvato dalla Commissione Giustizia della Camera nella scorsa legislatura. Il concetto di identità di genere è utilizzato anche in tre organismi istituzionali della presidenza del Consiglio dei Ministri: oltre alla Commissione lgbt, L’”Osservatorio contro la violenza alle donne, per orientamento sessuale e identità di genere” e il “Forum permanente contro le molestie gravi e la violenza alle donne, per orientamento sessuale e identità di genere”.
Si confronteranno i giuristi sulla formula più adeguata e se sia più coerente affiancare la tutela dell’identità di genere a quella dell’orientamento sessuale o piuttosto, come ha fatto la Direttiva 54, a quella del genere. Il punto centrale è che le persone transessuali e transgender siano coperte in modo esplicito dalla nuova legge dell’Emilia Romagna.
Sergio Lo Giudice
…
Caro Sergio,
la questione del termine “identità di Genere” è complicata. Ricordo la difficoltà avuta da Luxuria per farla inserire nella revisione della legge Mancino. Le obiezioni dal punto di vista formale sono facili perché come dici tu, questa espressione non viene usata dalla UE. Allora chi la usa? Da dove nasce? Nasce in ambito di ricerca “clinica” sugli studi psicologici e neuropsichiatrici rispetto ai rapporti fra sex cromosomico e genere. Il termine “Identità di Genere” ha quindi assunto il significato di ogni variazione rispetto alla “coerenza” fra sex (cromosomi) e genere (identità sessuata psicologica e forse cerebrale e forse genetica o epigenetica).
Peraltro il fatto di essere, come transgender, inserit* nel contesto della parità fra “uomini” e “donne” ci garantirebbe teoricamente molto di più di quanto siano garantiti gay e lesbiche. Come tu stesso affermi, tutte le leggi di applicazione sulle “pari opportunità” sono da applicarsi anche alle persone transgender, fin dalla “progettazione” della transizione, secondo quanto disposto dalla Corte Europea di Giustizia. Di fatto sappiamo tutt* che questo diritto non è praticamente mai applicato e che persino gli uffici legali ignorano spesso queste norme elementari per vincere ad esempio cause di licenziamento, mobbing, non rinnovi del contratto, non assunzioni ecc. ecc.
Credimi non è successo solo una volta di dover istruire avvocati e studi legali su come operare per difendere una loro cliente trans che si era rivolta direttamente agli avvocati… Ma quelli che si sono “fatti istruire” sono i più intelligenti perché hanno l’umiltà di informarsi. Una minoranza estrema quindi.
Come uscirne fuori? L’indicazione “Identità di Genere” peraltro non è chiara come “orientamento sessuale”, non è immediatamente comprensibile.
Credo si potrebbe utilizzare il termine, mediato dall’inglese, transgenere.. persone transgenere. So che le disposizioni e le leggi di norma nominano la condizione e non le persone (l’orientamento sessuale e non l’omosessualità, ad esempio). Vedo tre vie praticabili: forzare come è stato fatto in alcuni casi da te citati per inserire la definizione (il rischio è che poi non venga “riconosciuta” in ambiti giuridici); affidarsi al termine “genere” con una specificazione tipo “inteso secondo sentenza xxxy della Corte ecc ecc.” o specificando tra parentesi “genere (maschile, femminile, di transito/transizione fra gli stessi, intersessuale)”, oppure usare l’allocuzione “transgenere” modificando la forma della frase che di norma elenca le condizioni e non lo status delle persone.
Mi verrebbe da dire “tertium non datur”.. Ma di ipotesi ne ho messe già tre…
Quella che piace più a me? Forse “genere” con la specifica. Peraltro dopo la sentenza della Corte di Giustizia Europea che faceva chiarezza sul fatto che noi trans rientriamo nelle pari opportunità fra i sex, l’UK, fece una leggina aggiuntiva a quella nazionale sulle stesse pari opportunità che proprio spiegava ad ogni punto della legge, laddove si parlava di “pari opportunità fra i sex” che l’espressione includeva chi transiziona da un genere all’altro.
Spero di esserti stata utile con le mie riflessioni.
Un abbraccio
Mirella Izzo
presidente nazionale AzioneTrans
Complimenti per il blog, davvero interessante e ricco di spunti… sarei felice se ne aprissi uno anche su http://www.webirishpub.net/ per confrontarci quotidianamente.
Saluti 🙂
Complimenti per il sito, ricco di spunti interessanti. Continuate così.