Due anni fa se ne andava Marcella di Folco. Nei mesi scorsi il Consiglio comunale di Bologna ha approvato un’ordine del giorno presentato da Cathy La Torre e da me per intitolare una via a Marcella. La voglio ricordare riportando l’intervento con cui ho motivato commissione consiliare la presentazione della proposta.

Una via per Marcella Di Folco

In relazione all’intitolazione di una via o una piazza di Bologna a Marcella di Folco, che la consigliera La Torre ed io proponiamo al Consiglio Comunale di Bologna vorrei sottolineare due aspetti. Il primo riguarda i criteri secondo cui intitoliamo le strade di Bologna. Una premessa è dovuta: non spetta al consiglio comunale l’intitolazione delle strade di Bologna ma alla commissione toponomastica.

Il consiglio comunale periodicamente si prende la libertà di fare delle proposte alla commissione toponomastica e quindi di esprimere la volontà di individuare questa o quella figura come meritevole di una presa in considerazione. La commissione dovrà poi valutare i tempi e il luogo. Dico questo anche per rispondere all’obiezione sulla necessità di una selezione accurata: noi non stiamo decidendo che la prima strada che si libera venga intitolata alla persona che noi indichiamo, stiamo aggiungendo un nome a quella rosa che la commissione toponomastica andrà a valutare. Quindi ritengo infondate le osservazioni basate su un criterio di assoluta priorità. Può anche darsi che in questo momento ci sfugga una persona che non ha una via intitolata a Bologna e che nessuno di noi sta proponendo. Ma non è questo il tema: si facciano altri nomi, non stiamo facendo la classifica. E’ chiaro che dobbiamo fare attenzione a che le persone a cui vengono intitolate le vie di Bologna abbiano una loro riconoscibilità sociale. Le strade non sono solo un riconoscimento alla persona, ma la ricostruzione di una rete di memoria attraverso figure che per le loro funzioni, per importanza e ruolo, siano ritenute degne di essere ricordate come parte della memoria condivisa di una città. Trovo in malafede chi cita Camillo Cavour o Guglielmo Marconi come metro di paragone.  Non intitoliamo le strade di Bologna solo ai presidenti della repubblica, ai re, ai papi, ai santi, ai grandi navigatori, a Michelangelo o a Leonardo da Vinci: intitoliamo le strade di Bologna anche a una più ampia rete di persone che per aspetti diversi fanno parte della rete di memoria civile che vogliamo tramandare.

 

Ricordo alcune persone a cui abbiamo intitolato strade di recente.  Rosa Parks era una signora americana che, ad un certo punto della sua vita, si è rifiutata di alzarsi da suo posto in autobus: non ha fatto nient’’altro che questo gesto, tanto  semplice quanto dirompente, che l’ha trasformata in una delle più grandi icone globali della battaglia per i diritti civili. A Bologna, a migliaia di chilometri di distanza, pochi anni fa abbiamo intitolato un giardino a questa signora che dall’altra parte del pianeta, un giorno si è rifiutata di lasciarsi discriminare. Non era un’attivista importante, una grande pittrice,  una scienziata, era una persona che ha fatto un gesto simbolico considerato di grande valore.

Cristina Magrini, a cui abbiamo conferito la cittadinanza onoraria poco tempo fa, è una ragazza che è stata investita da una macchina. Ma quella ragazza, da tanti anni in stato vegetativo, quella famiglia, quell’esperienza hanno rappresentato uno di quei fili con cui è intessuta la trama di un tessuto civico solidale come quello di Bologna e il Comune di Bologna ha deciso di darle il giusto riconoscimento.

A Mariano Tuccella è intitolata una strada di questa città che non si trova sulla carta geografica: l’ex via senza nome, una strada che sta solo dentro gli elenchi topografici. Era un clochard malmenato e ucciso che non aveva fatto niente di eclatante nella sua vita ma è per noi, e lo sarà per i posteri, il testimone e  il simbolo di un’emarginazione sottoposta a violenza.

Demetrio Presini, burattinaio che ha divertito generazioni di bambini in città, probabilmente tutto avrebbe immaginato tranne che gli sarebbe stata intitolata una strada. Ma la città di Bologna ha deciso di dare il giusto lustro ad  una letteratura minore ma importante nella storia della città. Presini non era un grande poeta, non un grande regista, non un importante scienziato, ma l’espressione di un’arte povera e popolare che ha saputo creare cultura e socialità.

Mariele Ventre era una direttrice di coro, forse non un’eccelsa musicista, ma una figura amata dalla città che è rimasta nella nostra memoria come il simbolo di una esperienza culturale ed etica importante come lo Zecchino d’Oro. A lei è dedicato un Largo  vicino all’Antoniano.

A pochi passi sorge il giardino dedicato a  Padre Ernesto Caroli il cui nome è pure legato all’Antoniano: un’esperienza fortemente caratterizzata in senso religioso, in cui pertanto non tutta la città può direttamente riconoscersi, ma di cui abbiamo voluto riconoscere il grande impegno sociale.

Infine, voglio ricordare Stefano Casagrande, storico animatore del Cassero, il primo centro culturale  gay e lesbico d’Italia, a cui Bologna ha già intitolato un giardino.

Marcella Di Folco non era un capo di Stato o una grande scrittrice. Era, certo, una brava attrice che ha lavorato con tutti i più grandi registi italiani, da Fellini a Rossellini, ma non è questo il punto. Ha fatto la consigliera comunale, scelta come propria rappresentante da centinaia di bolognesi, ma non è neanche questo il motivo della proposta. Marcella di Folco è stata, soprattutto, la principale rappresentante italiana del movimento di liberazione delle persone  transessuali e transgender.

Il problema di fondo è che se il ricordo di Rosa Parks, in quanto esponente del movimento di liberazione degli afroamericani, oggi può vivere di quel sentimento condiviso per cui il razzismo nei confronti delle persone di colore è una cosa negativa, il soggetto sociale  che  Marcella Di Folco ha rappresentato nel nostro paese, le persone transessuali, non gode di una concezione condivisa da tutti sul fatto che le discriminazioni nei loro confronti siano un disvalor.. Il punto è solo questo, stiamo parlando solo di questo; non c’è condivisione nel paese sul fatto che la discriminazione nei confronti delle persone transessuali sia da condannare senza condizioni. Se Marcella Di Folco fosse espressione dei diritti dei neri o dei disabili o delle donne o degli ebrei, nessuno avrebbe obiezioni da  sollevare. LaInvece parliamo di alcune decine di migliaia di persone in Italia che non hanno la forza numerica di imporsi come movimento che crei diritti e che faccia rivendicazioni ed è quindi emarginata tra gli emarginati.

Pochi anni fa Bologna ha deciso di fare un  forte gesto  simbolico nei confronti di un  soggetto fortemente emarginato, gli zingari, deponendo una lapide alla Certosa in loro memoria. Proviamo a fare un referendum e vediamo quanti sono i bolognesi disponibili a mettere una lapide a favore di rom e sinti perseguitati. Sicuramente non sarebbe una scelta unanime e forse neanche maggioritaria. Eppure l’allora presidente del Consiglio ha avuto il coraggio di chiamare la città a realizzare il primo monumento in Italia dedicato agli zingari sterminati dal nazismo.

La proposta della consigliera La Torre e mia è che per la prima volta in Italia ci sia da parte di una amministrazione pubblica il riconoscimento del fatto che le persone transessuali sono un soggetto degno di piena cittadinanza e quindi di un riconoscimento civile.L’ha già fatto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano chiamando Marcella Di Folco, in quanto presidente del Movimento di identità Transessuale, a un incontro ufficiale. L’hanno fatto diversi Ministri delle Pari Opportunità che hanno affidato a Marcella Di Folco, nel corso degli ultimi, anni incarichi di consulenza e di partecipazione a commissioni per i diritti delle persone transessuali, ma un’amministrazione comunale non ha mai fatto  un gesto di questo tipo. E’ l’ora di rompere questo muro. Anche stavolta Bologna può indicare al paese una strada da percorrere in tema di diritti civili.

Sergio Lo Giudice

ALLEGATO:
Odg 70:2012 Marcella Di Folco

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