L’Unione europea lo aveva chiesto in modo chiaro con la Direttiva 38 del 2004: gli Stati membri devono consentire ai cittadini Ue il diritto fondamentale di muoversi liberamente in Europa insieme ai loro familiari e ai loro partner.

Ma quando si parla di famiglie l’Italia non rinuncia a rimanere un passo indietro, così ci aveva provato: alla voce coniugi andavano ammessi solo i matrimoni eterosessuali, mentre la qualifica di partner andava documentata dallo Stato di appartenenza, escludendo così le coppie di fatto dei paesi che non ne riconoscono lo status di conviventi.

A chiarire il primo punto ci aveva pensato una sentenza del Tribunale di Reggio Emilia: la direttiva va applicata anche ai coniugi dello stesso sesso. Così dal 2012 le questure rilasciano il permesso di soggiorno al coniuge non comunitario sposato a un cittadino italiano dello stesso sesso in uno Stato dell’Unione.

Oggi il Senato ha risolto l’altra anomalia, su cui l’Europa aveva annunciato sanzioni. I cittadini europei, secondo la direttiva, devono potersi muovere in Europa non solo con i familiari, ma anche con il/la convivente di fatto. L’Italia riconosceva questa possibilità ma con un limite: la relazione andava documentata dal paese del cittadino europeo.

Questo tagliava fuori i cittadini di quei paesi che non riconoscono alcuno status alle coppie di fatto (Italia, Grecia, Romania, Polonia per citare i principali). Allo stesso cittadino italiano poteva essere impedito di tornare nel proprio paese insieme al partner non comunitario, di sesso diverso come dello stesso sesso.

Da oggi non è più così: la documentazione potrà essere prodotta anche da un altro Stato. Da uno di quei tanti paesi europei in cui tanti gay e lesbiche vanno a vivere perché più accoglienti e perché, per l’appunto, non ignorano le loro relazioni d’amore ma le riconoscono pubblicamente.

Articolo pubblicato nel mio blog sull’Huffington Post
http://www.huffingtonpost.it/sergio-lo-giudice/

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