Il 25 aprile del 1945 il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI) proclamò l’insurrezione in tutti i territori ancora occupati dai nazifascisti.

“In nome del popolo italiano – così iniziava il proclama del 25 aprile – il Comitato di Liberazione nazionale per l’Alta Italia, delegato dal governo italiano per assicurare la continuazione della guerra di liberazione a fianco degli Alleati, per garantire contro chiunque la libertà, la giustizia e la sicurezza pubblica, assume tutti i poteri civili e militari”.

Il giorno dopo iniziò lo sciopero generale e l’occupazione delle fabbriche.

Bologna era già stata liberata il 21 aprile.

Dopo dieci giorni di battaglia per la conquista di Bologna e dopo che da due giorni le forze partigiane erano entrate in città, varcano le mura i soldati del quinto corpo polacco e subito dopo quelli del gruppo di combattimento Legnano del Corpo Italiano di liberazione, il ricostituito esercito nazionale, accompagnati dai partigiani della 36^ Garibaldi.

Nello stesso giorno fu liberato il comune di Sasso Marconi dove il CLN locale designò come Sindaco il socialista Guido Bertacchi.

Nel giro di pochi giorni le truppe nazifasciste furono scacciate da tutto il territorio italiano.

Il 28 aprile Benito Mussolini, catturato il giorno prima mentre si dava alla fuga, venne catturato e ucciso.

Il 29 i nazisti firmarono la resa delle forze tedesche in Italia.

Il 30 le truppe alleate entrarono a Milano che come le altre città della Lombardia era già stata liberata dai partigiani.

Quando, il 2 maggio, venne resa effettiva la capitolazione, la gran parte delle truppe tedesche in Italia si era già arresa ai partigiani o agli alleati.

È indubbio che l’intervento delle truppe alleate ebbe un ruolo fondamentale nella liberazione dell’Italia.

Ma è altrettanto assodato che il ruolo militare e politico svolto dalle truppe partigiane orientò in modo fondamentale il rapporto dei vincitori del conflitto con l’Italia.

La Resistenza fu, certo, guerra civile di un pezzo d’Italia contro un’altra ma fu anche una guerra patriottica contro l’occupante tedesco e una rivolta democratica contro i totalitarismi che avevano messo in ginocchio l’Europa.

Questa rivolta contro il fascismo e il nazismo e per l’avvento della democrazia e, nell’intenzione di molti, del socialismo consentì al nostro paese di affrontare l’avvio di una nuova storia con la testa alta di un popolo che aveva saputo fare i conti con i propri errori e le proprie responsabilità .

Gli italiani erano riusciti a compensare il contributo dato dall’Italia alla cancellazione delle regole democratiche e all’avvento della più sanguinosa fra le guerre non con la smemoratezza o l’ipocrisia, ma con la lotta e il sangue di tanti giovani, come Celso Benassi ed Elio Venturi, e di tante giovani come Natalina Tulipani o Isabella e Maria Ceretti, per citare solo alcuni dei partigiani di Sasso Marconi uccisi dai nazifascisti .

L’Italia si apprestava così a ricostruire sé stessa, la sua identità nazionale e il suo ruolo fra i Paesi democratici attraverso una radicale inversione di rotta sui temi della democrazia, della libertà e dei diritti .

Un cambio di passo radicale rispetto agli anni del fascismo che gli italiani poterono, con ottime ragioni, rivendicare non come una necessità imposta dalle potenze vincitrici a un Paese sconfitto, ma come il compimento di quell’atto collettivo di rottura col passato recente e di rifiuto del fascismo che era stata la Resistenza.

Il ventennio fascista, infatti, aveva smantellato quel patrimonio di diritti civili, politici e sociali che lo Stato unitario aveva lentamente iniziato a costruire.

Nel 1926 si stabilì che gli italiani che dall’esilio avessero commesso azioni dirette a “turbare l’ordine pubblico nel Regno” avrebbero perso la cittadinanza italiana.

Nello stesso anno, l’istituzione del Tribunale speciale per la difesa dello stato introduceva nell’assetto istituzionale del Paese un organismo che escludeva l’imparzialità delle decisioni limitava le garanzie di difesa e, di fatto, sostituiva allo Stato di diritto uno Stato di polizia

Nel 1928 fu soppressa la libertà di stampa e la libertà di associarsi in partiti politici.

I plebisciti del 1929 e del 1934, lungi dal poter essere considerati delle libere elezioni, avevano rappresentato al contrario l’abolizione di fatto del diritto di voto.

Nel 1930 arrivò a compimento la fascistizzazione della scuola italiana e nel 1931 fu imposto a tutti i docenti universitari il giuramento di fedeltà al regime fascista, cancellando così anche la libertà di insegnamento.

Fra il 1938 e il 1939 vennero promulgate le leggi razziali, con cui si limitavano i diritti degli italiani di origine ebraica.

Esse rappresentarono una delle maggiori vergogne dell’Italia e degli italiani che in grandissima parte si adeguarono a queste leggi pur avvertite estranee al sentire comune del Paese.

Non si trattò solo di una discriminazione verso una parte della popolazione, ma della teorizzazione dell’esistenza di una categoria di cittadini con una capacità giuridica limitata, con un balzo all’indietro di secoli verso una situazione presente in Europa solo prima della nascita dello Stato moderno. Gli italiani ebrei furono espulsi dalle scuole, dall’esercito, dalla pubblica amministrazione e dagli enti pubblici, dai commerci e dalle professioni.

Vennero vietati i matrimoni misti e ridotte le capacità in materia di adozione e patria potestà.

Le persone sospettate di essere omosessuali furono sottoposte a sanzioni amministrative.

Il nuovo codice penale del 1930 aveva evitato di considerare l’omosessualità reato penale in nome dell’assenza di omosessuali all’interno della maschia stirpe italica.

Così circa trecento omosessuali vennero condotti al confino nelle isole Tremiti o in altri luoghi isolati, mantenuti nell’invisibilità sociale e nel silenzio.

Lo stesso codice penale, il cosiddetto codice Rocco, vietava, oltre all’aborto, la propaganda anticoncezionale e puniva la violenza carnale come reato contro la moralità pubblica e non contro la persona .

Negli anni Trenta vennero introdotte numerose limitazioni alla libertà di spostamento a partire dai nuovi limiti alla possibilità di acquisire la residenza in un nuovo Comune.

Ma non solo i diritti politici e i diritti civili verranno ridotti dal regime fascista.

A partire dal 1926 l’ordinamento sindacale venne sottoposto al controllo statale.

In una strategia di consolidamento del consenso di massa verso il regime, l’abolizione del diritto di sciopero e l’annullamento della libertà e dell’autonomia dei sindacati vennero compensati con alcuni vantaggi materiali, dalle ferie pagate agli assegni familiari, in uno scambio scellerato fra vantaggi materiali immediati e perdita del potere sindacale dei lavoratori.

Lo stesso assistenzialismo paternalista segnò il rapporto del fascismo con le donne, mese al centro di politiche femminili fondate sul presupposto della loro inferiorità e di un naturale destino a svolgere la loro opera nell’ambito domestico.

Questo regime totalitario, fondato sulla preminenza della tutela della personalità dello Stato sulla tutela degli interessi individuali, sul controllo capillare delle istituzioni statali sulla vita familiare e sociale e sui comportamenti individuali, sul contrasto ad ogni organizzazione dei cittadini , che si trattasse di partiti, sindacati o associazioni sarà simbolicamente abbattuto il 25 aprile del 1945, giorno in cui parte la costruzione dell’Italia nuova.

La Costituzione italiana, entrata in vigore il 1 gennaio del 1948, rappresenterà il suggello di questo cambio di era.

Certo, tante previsioni generali della nostra carta costituzionale a tutela dei diritti fondamentali dei cittadini e della loro partecipazione attiva alla vita della Repubblica tarderanno ad essere effettivamente recepite nel nostro ordinamento.

La Corte costituzionale verrà istituita solo nel 1955, il Consiglio superiore della magistratura nel 1958, le Regioni addirittura nel 1970, così come il referendum abrogativo.

Solo nel 1969 la Corte costituzionale dichiarerà incostituzionale la norma del codice Rocco che sanzionava l’adulterio femminile e non quello maschile e solo nel 2010 sancirà il diritto costituzionale delle coppie dello stesso sesso al riconoscimento giuridico dei loro diritti e doveri.

Bisognerà attendere il 1996 perché lo stupro venisse considerato reato contro la persona e non contro la morale.

Piero Calamandrei, uno dei protagonisti dell’Assemblea costituente, secondo cui la nostra Costituzione doveva essere “presbite” e non miope, capace di guardare lontano a costo di non essere subito compresa, scrisse che “per compensare le forze di sinistra di una rivoluzione mancata, le forze di destra non si opposero ad accogliere nella Costituzione una rivoluzione promessa“.

Proprio a partire da queste caratteristiche la nostra Costituzione, nata dalla Resistenza , rappresenta ancora oggi una riserva di potenzialità inespresse, uno strumento di garanzia dei diritti e delle libertà.

Anche diritti che non potevano essere messi a fuoco dai padri costituenti sessant’anni fa oggi trovano il loro fondamento in una Costituzione lungimirante e un efficace strumento di attuazione in quella interpretazione evolutiva della nostra carta fondamentale che rende giustizia al suo carattere progressivo e aperto.

Ricordamocene oggi, mentre nuove violazioni di diritti avvengono attorno a noi.

A partire dalla situazione dei tanti rifugiati e richiedenti asilo i cui diritti umani fondamentali esigono di essere rispettati in nome della nostra carta costituzionale e di quella Dichiarazione universale dei diritti umani nata nello stesso 1948 con cui gli Stati del mondo vollero dare avvio ad una nuova fase della convivenza sul pianeta-

Si trattava di lasciarsi alle spalle gli orrori del conflitto mondiale e di ripensare la comunità umana nel nome dei diritti inviolabili di donne e uomini, “Considerato – così inizia la Dichiarazione – che il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo”.

Libertà, giustizia e pace hanno avuto un prezzo salato, che spesso è stato quello della vita di donne e uomini coraggiosi e fiduciosi nell’umanità.

Se ho citato Calamandrei per parlare del futuro della nostra Costituzione, vorrei chiudere tornando sulle sue origini di nuovo con le parole pronunciate dal costituente fiorentino nel celebre Discorso ai giovani del 1955:

«Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero perché lì è nata la nostra costituzione».

Sergio Lo Giudice

Oggi sono stato oratore ufficiale della manifestazione per il 25 aprile di Sasso Marconi. Ecco il testo del mio intervento.

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